Si sprecano le celebrazioni per i dieci anni di pontificato di Jorge Bergoglio. Nonostante il segretario di stato cardinale Parolin abbia dichiarato che «una lettura puramente mondana del ministero di Papa Francesco può facilmente condurci a giochi di potere», molti continuano a interpretare le vicende papali con gli schemi politicisti del papa “progressista” frenato e un po’ frustrato dai “conservatori”.

Confessiamo il nostro fastidio per le celebrazioni degli atei devoti postmodernisti che, perso ogni fondamento politico-culturale tra terze vie e moltitudini, si aggrappano a qualche suggestiva e decontestualizzata frase del papa. Invece Bergoglio ci sta abbastanza simpatico; certo è un po’ paraculo (ops… gesuita) ma è comprensibile dovendo gestire un puttanaio (ops… il Vaticano). D’altra parte non c’è amministratore delegato, presidente del consiglio, rettore universitario, generale dei carabinieri, segretario generale del sindacato che non debba barcamenarsi tra bande e cordate. La multinazionale vaticana non fa certo eccezione e sceglie, più o meno bene, i suoi CEO per preservare la barca riaggiustando ogni tanto la rotta.

Nel secondo dopoguerra la secolarizzazione galoppante ha imposto il Concilio Vaticano II, ma già alla fine dei “magnifici trent’anni” questo tentativo della chiesa di modernizzarsi un po’ è stato subito anestetizzato da Paolo VI, che è stato sostituito dal più politico Giovanni Paolo II negli anni della revanche de dieu; poi hanno cercato di correggere la sua “debolezza teologica” con Benedetto XVI, e la scarsa empatia comunicativa di questi con Francesco e la sua “peronista” teologia del pueblo (senza però cambiare di una virgola la dottrina).

Le parole sono importanti ma non è vero che «il papa fa cadere i muri con le sole parole» (come titola il Corriere del 12 marzo, citando il vescovo Galantino, titolare dell’APSA, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, la cui “riforma” è stata annunciata più e più volte. Certo, è meglio sentire predicare la compassione francescana e non la vendetta divina, ma gli omosessuali restano peccatori “disordinati” e le donne restano relegate al loro ruolo di cura, non più con le stesse parole degli anni ’50 ma sempre destinate dalla “natura” al ruolo di fattrici e di badanti.

Finché il consenso per la chiesa è forte prevale il dio incazzoso che ordina alle donne di sottomettersi (finché hanno potuto anche di bruciacchiarle), quando il consenso cala la sostanza non cambia ma (forse più per necessità che per virtù) prevale la “compassione”. Nell’udienza dell’11 marzo 2023 il papa ha lodato la pazienza, l’onestà, l’umiltà, la fedeltà, la capacità di soffrire delle donne: «Il marito lavora, dorme e… va avanti. E invece queste cose una donna le fa in modo naturale, le fa in modo unico, proprio per la capacità che ha di prendersi cura», perché fa parte della “natura” delle donne prendersi cura.

E gli atei devoti applaudono.