Quasi tutti i commentatori dei quotidiani si sono esercitati sul caso Ferragni, spesso per sottolineare che l’influencer ci avrebbe influenzati grazie ai social, che per loro “natura” favorirebbero i fake e i flame.

Le false notizie e le fiammate virali, in realtà, sono sempre esistite, e anche più drammatiche (vedi, per fare solo un esempio, i Protocolli dei Savi di Sion e i pogrom antiebraici di poco più di un secolo fa) anche se in passato erano un po’ meno “in tempo reale”. Le nuove tecnologie hanno accelerato la diffusione di fake e flame e, aumentandone il numero, ne hanno anche mediamente diluito l’intensità. Inoltre, molti hanno assolutizzato lo slogan di McLuhan “il mezzo è il messaggio”, che pure è utile per ricordarci che anche il medium-contenitore retroagisce sul messaggio-contenuto in qualche modo e misura.

Detto in altri termini, non sono (tanto) i social che hanno indebolito il nostro pensiero, ma (soprattutto) è il nostro pensiero debole che ha favorito la diffusione di questi social. Il pensiero debole e postmoderno si è affermato insieme all’ideologia neoliberista da fine anni ’70, anzi vi è stato embedded (incorporato, integrato, arruolato).

Il postmodernismo ha spostato la centralità dal lavoro al consumo, ha appiattito la storia del passato e la speranza del futuro in un eterno presente, ha delegittimato le meta-narrazioni, la politica sistemica. Il postmodernismo ha svolto un ruolo critico positivo, decostruendo e demistificando gli stereotipi, ma ha “buttato il bambino con l’acqua sporca”: ha criticato tutto ma ha finito per accettare l’esistente.

Ogni società ha comunque un fondamento: si può reggere su dogmi religiosi o politici (su Verità Assolute e indiscutibili), oppure su un pensiero critico (sulle sempre discutibili verità parziali e provvisorie della scienza). Negare qualunque fondamento – come fa il pensiero debole e postmoderno – favorisce l’adozione (anche inconsapevole) dell’ideologia dominante, sia pure “debolmente”, con ironia o rassegnazione.

Il postmodernismo ha contribuito a mettere in crisi il pensiero socialista (anzi, è l’espressione della sua crisi); ha anche decostruito le ideologie religiose (sono aumentati atei e agnostici e, cosa ancora più significativa, anche chi si dichiara credente adotta una “religione a bassa intensità”); ha favorito l’assimilazione dell’ideologia dominante trasformando politica e religione in “buoni sentimenti” marketizzati, talvolta in “cattivi sentimenti” ma sempre gestiti con la logica del marketing.

Possiamo cioè notare la convergenza dei Ferragni, dei Bergoglio, dei leader politici di turno. Il marketing di Ferragni vende “buoni sentimenti” (come tante altre imprese e ONG che adottano il green o social-washing); la comunicazione compassionevole-ambientalista-pacifista del populista Bergoglio adotta un restyling superficiale del cattolicesimo (che però non cambia di una virgola la dottrina); il leader politico di turno insegue i sondaggi e sostituisce la politica sistemica (quella con la P maiuscola) con i frammenti delle schermaglie dei talk show, vendendo sul mercato elettorale paure o buonismi.

I vari Bergoglio, Ferragni, Salvini, e tanti altri, meno noti o del tutto ignoti, vengono da storie indubbiamente diverse, ma convergono verso un modello comune (anch’esso un po’ in crisi ma ancora dominante): diventare influencer per avere più follower creduloni. E i social sono l’effetto, non la causa.