Il coronavirus sta provocando una crisi profonda, non solo sanitaria ed economica. La pandemia, probabilmente, segnerà la conclusione del pensiero postmoderno che ha accompagnato l’ideologia liberista egemone negli ultimi decenni.
Il postmodernismo è una corrente di pensiero che si contrappone alla modernità e all’Illuminismo; si caratterizza per:
– svalutazione della razionalità e della scienza, non esistono fatti ma solo opinioni e sensazioni (pensiero debole, new age, religioni a bassa intensità);
– svalutazione della storia e degli ideali (delle metanarrazioni); eterno presente, sospeso tra il ”non più” e il “non ancora”; eterna giovinezza;
– svalutazione del lavoro, dell’investimento per il futuro, fruizione ludica del presente;
– individualizzazione con identità frammentarie, instabili e intercambiabili; tolleranza ma anche ghetti multiculturalisti; identità basate sul consumo immediato, senza prospettiva.
L’auspicata crisi del postmodernismo può però farci cadere dalla padella alla brace. Potremmo tornare a ideologie “forti”, settarie e autoritarie, di tipo politico (prima noi) o religioso (dio lo vuole).
Il nuovo fondamentalismo religioso (cristiano, islamico, induista, ecc.) è una risposta al postmodernismo; Ratzinger sostiene che l’origine di tutti i mali sta nel laicismo, relativismo e permissivismo del ‘68 che hanno minato l’ordine teocratico, cioè ripropone un ordine premoderno.
È contro il postmodernismo anche chi vuole imporci un “ordine” politico nazionalpopulista, chi ripropone piccole patrie e imperialismi, prima i lumbàrd e America first, cioè società chiuse, settarie e autoritarie.
Dunque questa crisi ci espone a grandi rischi, ma ci offre anche grandi opportunità. È diffusa l’idea che siamo al termine di questa corrente di pensiero già a fine millennio (Maurizio Ferraris, Elio Franzini, Roberto Mordacci, ecc.).
La crisi del 2008 ha mostrato che non eravamo alla “fine della storia”; il coronavirus probabilmente darà il colpo di grazia al postmodernismo, perché:
– oggi non sono più riproponibili infotainment che mettono sullo stesso piano scienziati e ciarlatani; le opinioni stanno tornando a basarsi sui fatti della scienza e della competenza;
– l’eterno presente si dissolve (insieme alla correlata illusione dell’eterna giovinezza) nella tragedia della pandemia; ci si interroga sul futuro e quindi si guarda anche al passato;
– la fruizione ludica del presente è diventata impraticabile; l’eroismo concreto dei lavoratori “materiali” (medici, infermieri, operai) contraddice le narrazioni postmoderne sull’immateriale, sull’intelligenza artificiale e sulle stampanti 3D che avrebbero già ridotto il lavoro fisico a un residuo novecentesco; anzi, ci si interroga sempre più sugli investimenti necessari per il futuro;
– anche l’individualismo basato su identità superficiali, provvisorie e intercambiabili si indebolisce e si rafforzano le idee di comunità, di coesione, di solidarietà.
Il postmoderno ha avuto il merito di criticare il positivismo ottocentesco ma ha buttato il bambino con l’acqua sporca. La criticità fa parte della modernità. La tradizione dell’Illuminismo è l’autodeterminazione, è l’ideale critico della ragione, sempre alla ricerca di senso, di fondamenti, del soggetto, di un ordine, di una strategia.
È bene che si rilanci – anche grazie alla tragedia del coronavirus – il pensiero moderno, il cantiere aperto del progetto dell’illuminismo.