C’è una notizia grande e una piccolina. Quella grande è l’allineamento di Zuckerberg/Meta a Trump/Musk, quella piccolina è che Meta ci ha impedito di pubblicizzare una vignetta intitolata “Meloni-a-lago: Dio, Trump e la (Sacra) Famigghia“.

Siamo contro tutti i complottismi, a partire dal nostro; quindi siamo convintissimi che non c’è stata una riunione negli Usa o in Italia, in cui qualcuno, fosse anche l’usciere di Palazzo Chigi, ha deciso di “censurare” la nostra vignetta; peraltro non impedendone la pubblicazione su Meta ma solo la sua pubblicizzazione che l’avrebbe resa più visibile.

Il controllo è stato quasi sicuramente automatico: un algoritmo ha rilevato che si parlava di Meloni/Trump/Musk e ha deciso che non era conforme alle “condizioni d’uso” di Meta, anche se c’era solo ironia e nessuna falsità o espressione d’odio.

L’aspetto curioso è che Mark Zuckerberg (Meta ex Facebook, Instagram) ha annunciato che non effettuerà più il fact-checking allineandosi a Musk (SpaceX, Tesla, OpenAI, X ex Twitter); intanto Musk, intervistando su X la leader di AFD, si è fatto tranquillamente dire che Hitler era comunista! Per tutta la stampa internazionale Zuck si è così allineato al “rinnovato” corso di Donald Trump, in buona compagnia di Jeff Bezos (Amazon, Blue Origin, Washington Post) e di tanti della ex “democratica” Silicon Valley.

Come possiamo leggere sul Corriere della sera dell’8/1/25: “Mark Zuckerberg ha annunciato una serie di modifiche alle politiche di moderazione dei contenuti sulle sue piattaforme. La più importante riguarda la chiusura del programma introdotto otto anni fa per arginare la circolazione di notizie false su Facebook e Instagram che affida a siti di informazione e fact-checker terzi la valutazione di post apparentemente falsi al fine di etichettare quelli fuorvianti. La novità coinvolgerà in una prima fase i soli Stati Uniti, nei prossimi mesi, per «ripristinare la libertà di espressione … Stiamo eliminando una serie di restrizioni su argomenti come l’immigrazione, l’identità di genere e il genere»“.

Dunque l’abbandono del fact-checking vale, per ora, solo per gli USA, dato che in Europa permangono norme (giudicate troppo restrittive dai proprietari di social) e è significativa la spiegazione pro alt-right di Zuckerberg, cioè che l’abolizione garantirebbe la libertà di chi ha credenze religiose.

Comunque molti ritengono il fact-checking un’illusione. A noi il fact-checking piace, ma un po’ meno se il controllore è proprio il proprietario, cioè chi dovrebbe essere controllato.

Ci sembra particolarmente superficiale schierarsi da tifosi per Mark o per Elon (o abbandonare X per poi scoprire che Meta fa più o meno lo stesso). La questione è molto più complessa e contraddittoria e – a nostro parere – non consente risposte semplici e univoche. Dovremmo anzi domandarci se sono stati i social a indebolire il nostro pensiero oppure, viceversa, è stato il pensiero debole e postmoderno che ha consentito la diffusione di questi social.

Il postmodernismo ha avuto il merito di criticare a fondo le “metanarrazioni”, ma è diventato l’ideologia che criticando tutte le ideologie ha finito per accettare l’esistente, sia pure ironicamente e debolmente, cioè ha favorito l’egemonia dell’ideologia dominante, neoliberista.

Con il postmodernismo l’informazione è diventata infotainment (un misto di informazione e intrattenimento); per esempio con trasmissioni tipo Striscia la notizia, dove si può dire tutto e il contrario di tutto, perché una “notizia” può essere giustificata a piacere come battuta o come verità; da qui la “post-verità” e i talk-show che “spettacolarizzano” i “dibattiti” con scontri tra opposte tifoserie, che affermano ma non argomentano.

L’informazione (intesa come ciò che serve a arricchire le nostre conoscenze) si è ridotta alla sola comunicazione (alla messa in comune di “informazioni”). La tecnica della comunicazione ha invaso lo spazio politico dell’informazione e, eliminando le “discriminanti ideologiche”, ha messo tutte le “notizie” (dello scienziato e del ciarlatano) sullo stesso piano; cioè ha consentito a chi ha più potere, e più mezzi di comunicazione, di diffondere notizie più “vere”.

In passato l’informazione era limitata nel tempo e nello spazio e era gestita da élite (che comunque non erano particolarmente e efficacemente controllate da fact-checker); era pagata (comprando giornali e riviste che si costruivano una reputazione professionale). Oggi la tecnologia ci consente di comunicare in uno spazio-tempo ridotto, pervasivamente, end-to-end; l’informazione è spesso “gratuita” (in realtà pagata con la profilazione e la pubblicità) e si è “popolarizzata”, nel bene e nel male.

Tutto ciò incide sulla qualità della democrazia, che sta diventando anche da noi una democratura (con le forme ma senza la sostanza della democrazia). C’è chi cerca una soluzione esaltando (populisticamente) il “dal basso” e chi (paternalisticamente) i controlli “dall’alto”; in realtà servirebbero entrambi, ma nel quadro di una visione del mondo e di una politica democratica, laica e egualitaria. Che oggi si fa fatica a intravedere.

Vedi anche la vignetta di  cui Meta ha rifiutato la pubblicizzazione e la pagina del sito SatirÂtea che la contiene.