That’s amore è una canzone della colonna sonora del film del 1953 con Dean Martin Attenti alla palla, titolo involontariamente profetico perché di palle sull’ammore ne sono state sparate parecchie. In nome dell’amore (tradito) si spara alla moglie, dell’amore (per la Patria) si proclama una guerra, dell’amore (per la mamma) si vendono i cioccolatini, spesso è amore di sé che pretende prove d’amore da lei.

Nei dizionari è definito come sentimento complesso e intenso in cui si mescolano affetto, desiderio e attrazione, che può rivolgersi a una varietà pressoché infinita di oggetti come cose, persone, animali, valori. Insomma, amore è un termine talmente polisemico che può essere usato per tutto e per il contrario di tutto, e figuriamoci se questi slittamenti di significato se li lasciava scappare la chiesa cattolica, campionessa di pattinaggio semantico artistico anche sul ruvido.

Dunque, «Dio è Amore», un amore da cui non è semplice separarsi perché (CCC, Catechismo della Chiesa Cattolica) «358 Dio ha creato tutto per l’uomo, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 12; 24; 39] ma l’uomo è stato creato per servire e amare Dio». L’incongruenza logica tra un dio sia onnipotente sia infinitamente buono viene superata con il solito noto “mistero” (usato ben 323 volte nel CCC); inoltre «162 La fede è un dono che Dio fa all’uomo gratuitamente», ma è un dono che obbliga il “beneficiario” a amare il suo amante/donante e se non lo fa come prescritto (e interpretato dalla chiesa) diventa un peccatore.

Con gravi conseguenze perché «1487 Colui che pecca ferisce l’onore di Dio e il suo amore, la propria dignità di uomo chiamato ad essere figlio di Dio e la salute spirituale della Chiesa di cui ogni cristiano deve essere una pietra viva. 1488 Agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo intero».

Peraltro il “dono” è un comodato d’uso; anche nella tanto laudata enciclica Laudato si’ è detto esplicitamente che noi non siamo proprietari del dono ricevuto ma semplici «”amministratori” di Dio» (CCC 322); però, mentre il comodato terreno è un contratto temporaneo, quello divino è perpetuo, come il sacramento del matrimonio: «1644 L’amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l’unità e l’indissolubilità della loro comunità di persone che ingloba tutta la loro vita». «1646 L’amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa natura, una fedeltà inviolabile. E’ questa la conseguenza del dono di se stessi che gli sposi si fanno l’uno all’altro. L’amore vuole essere definitivo». «1652 “Per sua indole naturale, l’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento”: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]».

Ovviamente si parla di unione di un papà e una mamma, senza rapporti prematrimoniali, senza lussuria, senza contraccettivi, senza aborto, che nessuna legge dello Stato può mettere in discussione: «2202 Un uomo e una donna uniti in matrimonio formano insieme con i loro figli una famiglia. Questa istituzione precede qualsiasi riconoscimento da parte della pubblica autorità; si impone da sé». «2350 I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza». «2351 La lussuria è un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione». «2363 Mediante l’unione degli sposi si realizza il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita».

Una efficace sintesi ce la fornisce Karol Wojtyla nell’enciclica Evangelium vitae (23): «In un simile contesto la sofferenza, inevitabile peso dell’esistenza umana ma anche fattore di possibile crescita personale, viene “censurata”, respinta come inutile, anzi combattuta come male da evitare sempre e comunque. Quando non la si può superare e la prospettiva di un benessere almeno futuro svanisce, allora pare che la vita abbia perso ogni significato e cresce nell’uomo la tentazione di rivendicare il diritto alla sua soppressione».

«Sempre nel medesimo orizzonte culturale, il corpo non viene più percepito come realtà tipicamente personale, segno e luogo della relazione con gli altri, con Dio e con il mondo. Esso è ridotto a pura materialità: è semplice complesso di organi, funzioni ed energie da usare secondo criteri di mera godibilità ed efficienza. Conseguentemente, anche la sessualità è depersonalizzata e strumentalizzata: da segno, luogo e linguaggio dell’amore, ossia del dono di sé e dell’accoglienza dell’altro secondo l’intera ricchezza della persona, diventa sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti. Così si deforma e falsifica il contenuto originario della sessualità umana e i due significati, unitivo e procreativo, insiti nella natura stessa dell’atto coniugale, vengono artificialmente separati: in questo modo l’unione è tradita e la fecondità è sottomessa all’arbitrio dell’uomo e della donna. La procreazione allora diventa il “nemico” da evitare nell’esercizio della sessualità: se viene accettata, è solo perché esprime il proprio desiderio, o addirittura la propria volontà, di avere il figlio “ad ogni costo” e non, invece, perché dice totale accoglienza dell’altro e, quindi, apertura alla ricchezza di vita di cui il figlio è portatore».

Questa è la dottrina, che esalta la sofferenza e condanna la “soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti” perché desacralizza il loro concetto di amore; dottrina mai messa in discussione neanche dal “rivoluzionario” Bergoglio, che ha conquistato tanto spazio mediatico con occasionali e brillanti comunicazioni compassionevoli (tipo «chi sono io per giudicare?»).

Non è esattamente lo stesso amore che porta ai femminicidi ma ne ha molti tratti in comune: il ruolo subordinato della donna, l’amore donato che obbliga a ricambiare, l’amore perpetuo e definitivo, la fedeltà assoluta, il peccato del tradimento, la punizione della peccatrice che rappresenta il male “per il mondo intero”.