Affrontiamo la nostra vita basandoci sulla ragione o sulla fede?
Nel cantiere aperto dell’Illuminismo si sostiene l’autodeterminazione dell’umanità contro l’affidarsi ad autorità esterne, ci si basa sulle verità provvisorie della scienza e non si accetta il fideismo verso un dio o un suo sedicente rappresentante in terra più o meno unto.
Questa distinzione di base richiede ovviamente molte altre specificazioni, perche gli schemi della fede possono funzionare come stampi anche in altri campi.
La fiducia di alcuni nell’”ineluttabile” processo di secolarizzazione rischia di fare sottovalutare la necessità di una militanza laica, di un moderno anticlericalismo, di una battaglia culturale contro i multiformi aspetti, vecchi e nuovi, della religiosità, della eterodeterminazione.
Nella letteratura sociologica c’è un largo consenso sulla ripresa quantitativa del fenomeno religioso su scala globale (religious booming, desecolarizzazione, reincanto), sia pure in forme molto diverse.
«Nel corso degli anni Ottanta diverse tradizioni religiose in tutto il mondo – dal fondamentalismo islamico alla cattolica teologia della liberazione – hanno cominciato ad acquisire spazio al di fuori della sfera privata e all’interno di quella pubblica, configurando una sorta di “deprivatizzazione” della religione». [1]
Perché aumenta la presenza delle religioni nella sfera pubblica nonostante la riduzione (almeno in Europa) della fede religiosa e della partecipazione ai riti?
È ormai diffusa, soprattutto tra i giovani, l’«appartenenza senza credenza (belonging without believing), ovvero il riconoscimento di un legame nei confronti della tradizione cristiana assunta essenzialmente quale fattore di identità culturale»; «i giovani non si pongono “contro”, ma stanno imparando a vivere “senza” il Dio presentato dal Vangelo e “senza” la Chiesa, salvo affidarsi a forme di religiosità e spiritualità alternative e poco istituzionalizzate o rifugiarsi in sette o esperienze religiose a forte matrice identitaria». [2]
Sta aumentando la divaricazione tra religione confessionale (legame sociale) e fede religiosa, con sbocchi contraddittori e imprevedibili. [3]
Ciò è dovuto anche al crescente pluralismo religioso, conseguenza della globalizzazione, dei flussi migratori, dello scontro tra concezioni monoculturaliste e multiculturaliste che spinge verso una identità basata sull’appartenenza religiosa. [4]
In Italia l’egemonia del cattolicesimo è insidiata dalle altre religioni tradizionali, con le loro numerose varianti: cristianesimo ortodosso e protestante, ebraismo, islam, buddhismo, induismo, ecc.
In particolare dal proselitismo di evangelici, pentecostali, testimoni di geova, mormoni, ecc. e da associazioni esoteriche-spiritualistiche di varia natura e della galassia New Age (scientology, occultisti, satanisti, ufologi, guaritori, santoni, ecc. ecc.).
Con “specializzazioni” funzionali: offerta di consolazione/redenzione per ceti popolari, disagiati, malati; potenziamento fisico-spirituale per ceti medio-alti; trasgressione per giovani.
I sociologi sono spesso cauti nel definire queste manifestazioni come l’avvio di una nuova tendenza o come rigurgiti di qualcosa che si stia estinguendo.
I rapporti tra religione cristiana e potere politico sono antichi e mutevoli ma sempre profondi e hanno assunto forme molto diverse nel tempo e nello spazio.
Tra le tappe più significative, il Concilio di Nicea del 325 e.v. convocato e presieduto da Costantino per imporre una dottrina unica utile per governare l’impero; la lotta per le investiture, scontro tra papato e sacro romano impero sulla supremazia del potere spirituale o temporale, concluso con un compromesso a Worms nel 1122; il Rinascimento che sostituisce il pensiero medievale universalista, basato sulla trascendenza e sulla centralità di dio, mettendo al centro l’umanità e ciò che è particolare, immanente, insito nella natura; la pace di Augusta del 1555 con cui si afferma la coesistenza tra cattolicesimo e luteranesimo (Cuius regio eius religio, i sudditi seguano la religione del proprio governante); principio riaffermato dopo la Guerra dei trent’anni, con la pace di Vestfalia del 1648, quando si adotta il concetto moderno di sovranità dello Stato contro la pretesa dell’imperatore asburgico di stabilire la religione dei propri regni.
Infine l’Illuminismo, con cui si afferma la laicità/secolarizzazione (il francese laïcité si traduce in inglese con secularism), come religione naturale.
La religione è un complesso di credenze, sentimenti, riti che legano un individuo o un gruppo umano con ciò che esso ritiene sacro. Questo schema spesso si applica (in qualche misura) anche alla politica, come uno stampo in cui si colano materiali diversi.
Si può quindi parlare di religione naturale, intendendola come leggi morali razionali e universalmente accessibili, che diventano l’aspetto centrale anche se in genere resta il riconoscimento dell’esistenza di dio e dell’immortalità dell’anima; e di religione civile, intesa come consenso spontaneo finalizzato a un’etica pubblica fondata sulle istituzioni politiche, in genere limitata a un’adesione ai valori costituzionali.
Quando invece la sacralizzazione della propria sfera politica si attua con manifestazioni, simboli e culti analoghi a quelli delle religioni (es. nazionalismo, fascismo, stalinismo) si usa la locuzione religione politica, che è tale quando una aristocrazia del comando (economica, politica, militare), o un duce investito di sacralità carismatica, o un capo a cui si deve un culto della personalità, organizzano le masse in un processo pedagogico di mobilitazione permanente, emozionale e fideistica, per la “salvifica” creazione di una “nuova civiltà”. [5]
La religione confessionale – basata sull’ideologia che sostiene che lo Stato debba conformarsi ai principi di una confessione religiosa – ha il compito primario del disciplinamento sociale; è un “patto” tra autorità politiche ed ecclesiastiche con costi e benefici reciproci: i politici cedono parte del loro potere in cambio di legittimazione, il clero sacrifica anche aspetti della propria fede religiosa (l’intima convinzione fondata su una “verità rivelata”) in cambio di vantaggi materiali.
Il termine secolarizzazione è stato usato in origine nelle trattative per la pace di Vestfalia, nel 1648, per indicare il passaggio di beni e territori dalla chiesa a possessori civili; dal XIX secolo ha significato anche il processo di progressiva autonomia delle istituzioni politico-sociali e della vita culturale dal controllo e/o dall’influenza della religione e della Chiesa (laïcité = secularism). Ma se resta lo schema e cambia solo la “chiesa”, come nel caso delle religioni politiche, si può parlare di secolarizzazione per sostituzione.
Tutto ciò ha condizionato le forme della politica, della religione e del loro rapporto (Patti concordatari con regimi democratici e non).
Le religioni si adattano al mutare del clima culturale, per esempio con forme di religione a bassa intensità (low intensity religion, unchurched spirituality, televangelism) cioè con fenomeni religiosi caratterizzati spesso da: degerarchizzazione, mercificazione / consumismo, mediatizzazione, brandizzazione / fidelizzazione.
Oppure si radicalizzano (fondamentalismi cristiani, islamici, induisti, persino buddhisti).
Anche la presenza dei cattolici in politica ha assunto diverse forme, per es. il popolarismo è il movimento politico relativamente aconfessionale fondato da don Sturzo: i popolari tendono ad avere posizioni più antistataliste, laiche, liberali sulle tematiche sociali – a differenza delle posizioni più conservatrici dei cristiano democratici – e difendono piccola proprietà, cooperazione, sussidiarietà, con posizioni comunitarie, identitarie e di autonomia nazionale rispetto all’universalismo cattolico.
Anche la pubblicità, da decenni, si allontana sempre più spesso dalle caratteristiche materiali della merce per propagandarne (con giaculatorie) gli aspetti immateriali, emozionali, quasi sacralizzandoli insieme all’autorità del brand.
Diversi sociologi, tra cui Diotallevi, usando lo schema delle global cities (le grandi città cosmopolite, hub della globalizzazione: Londra, NewYork, HongKong… Milano) sostengono che «Il religious booming che è in corso non è solo ampiamente veicolato dalla globalizzazione, ma allo stesso tempo ne viene largamente riconosciuto come un driver».
Nel nostro piccolo, anche noi di ArciAtea (nel convegno su “Un futuro possibile”) avevamo ipotizzato una correlazione tra aumento delle disuguaglianze conseguenti alla globalizzazione liberista e rinascita delle religioni (non a caso a partire dagli anni ‘80, cioè dopo la fine degli egualitari “magnifici trent’anni“).
Il pluralismo religioso può determinare un contenimento reciproco delle varie confessioni, ma può anche ampliarne l’offerta grazie alla diversificazione, soprattutto nei ghetti multiculturalisti delle periferie delle global cities.
C’è la possibilità (sta già avvenendo) che il pluralismo religioso si traduca in un “bipolarismo” di tifoserie tra un cattolicesimo tradizionale, reazionario, comunitario del comunicatore Salvini, e un cattolicesimo cosmopolita del comunicatore Bergoglio. Ciò grazie anche agli atei devoti che contrastano la riproposizione di un pensiero e di una azione coerentemente laici.
C’è la possibilità che diventi egemone, anche in Europa, una “democrazia di dio” cioè una religione politica “all’americana”, pluralista verso le diverse confessioni religiose, ma improntata sulla missione in terra di un “popolo” (variamente interpretato) eletto da dio.
Con tutto ciò che ne può conseguire.
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14 maggio 2019, Laboratorio aperto di ArciAtea, riassunto della discussione