Hanno intervistato Vittorio Sgarbi sul crocefisso a scuola. Riportiamo alcune
sue perle di capra e i nostri commenti.
«E’ un simbolo che appartiene alla nostra tradizione di Paese cristiano»
C’è un grande salto logico tra il sostenere che l’Italia ha una tradizione (anche) cristiana e il definirci Paese cristiano. Ridurre una multiforme cultura a una religione è da fondamentalisti (o da paraculi).
«A qualcuno verrebbe mai in mente di togliere dal muro di una scuola il ritratto di Leopardi, di Socrate o di Platone? Non credo. Allora mi chiedo: perché l’immagine di Cristo dà tanto fastidio?»
Nessuna obiezione se il crocefisso fosse in corridoio tra un‘immagine di Leopardi e un busto di Giulio Cesare, ma un critico (onesto) dovrebbe capire che un crocefisso in alto al centro della parete dell’aula è un simbolo che indica una gerarchia, un potere a cui inchinarsi.
«Basti pensare che la storia si divide in ante Cristo e dopo Cristo»
Appunto, anche il controllo del calendario è uno strumento di potere. Non molto tempo fa hanno provato a ricontare da una marcia del 1922.
Alcuni invece preferiscono l’espressione ante era vulgaris (prima dell’era popolare, a.e.v./e.v.), usata per la prima volta da Keplero nel 1615 e oggi da chi preferisce un termine non esplicitamente religioso, lasciando la numerazione convenzionale (peraltro la data effettiva di nascita di Gesù Cristo sembra essere il 7 a.e.v.).