Il primo maggio nasce dal protagonismo (dalla voglia di riscatto) di chi vede negati i propri diritti e fa appello non alla fragilità ma alla forza degli oppressi, di tutti e di ciascuno.
La Costituzione antifascista ci dice che la nostra repubblica è fondata sul lavoro, non sul posto di lavoro sotto ricatto, né sulla compassione per gli ultimi, peraltro spesso fatta pagare ai penultimi; nell’art. 3 ci dice che lo Stato deve rimuovere le cause delle disuguaglianze per rendere effettivi i diritti, non smantellare il welfare e regredire verso un sistema basato sulla carità e sul paternalismo.
Il postmodernismo (di destra e di sinistra) aveva dichiarato la centralità del consumo e la fine del lavoro, considerato un residuo novecentesco.
La pandemia ha riportato alla luce, dei media e delle coscienze, il lavoro dei medici e degli infermieri, dei ricercatori e dei braccianti, degli operai alla catena e degli impiegati in smart working, dei commessi e dei ciclofattorini, cioè la centralità del lavoro concreto, quello che sostiene la nostra società, nonostante sia frantumato, precarizzato, falsato, malpagato, oscurato, oppresso, privo di una adeguata rappresentanza politica.
Nei molti webinar della sinistra di questo periodo caratterizzato dalla pandemia, si sentono tante proposte (più o meno condivisibili) per una società più giusta, ma purtroppo quasi mai l’indicazione di chi possono essere i protagonisti del cambiamento.
Sembra quasi che i vari leader, esperti, o presunti tali, anche quelli che si dichiarano laici, confidino nella potenza, magica o autoreferenziale, della loro Parola (in principio erat Verbum), ma non nella mobilitazione degli oppressi.
La libertà e i diritti devono essere conquistati e riconquistati dagli oppressi stessi, non devono essere isolati perché l’oppressione è intersezionale, non possono essere “concessi” benevolmente da chi ha privilegi, da un politico illuminato, o da un tecnico brillante.
Gli intellettuali svolgono un importante ruolo progressivo solo quando favoriscono il protagonismo degli oppressi (delle oppresse innanzi tutto), nella consapevolezza che le libertà individuali non reggono a lungo se non sono sostenute dai diritti di tutti.
Il primo maggio ci ricorda questo: la centralità del lavoro concreto. Chi è oppresso non è fragile e da tutelare con la gerarchica carità. Gli oppressi in realtà sono fortissimi quando riescono a essere solidali e, lottando per la loro libertà e uguaglianza, possono non solo sostenere il mondo ma anche migliorarlo.