Il 30 aprile una grande manifestazione progressista ha attraversato le strade di Verona, contro il pensiero reazionario del World Congress of Families.

Se ai congressisti del WCF interessasse davvero la famiglia, sia pure quella formata “da un papà e una mamma”, se volessero davvero favorire la natalità, potrebbero chiedere un lavoro stabile e dignitoso, case popolari, asili pubblici, consultori, centri antiviolenza, cioè quelle misure che consentono anche a una coppia “tradizionale” di investire sul futuro.

Certo, è anche questione di “valori”, di retaggio religioso (sessista, omofobo, patriarcale), ma in realtà, i congressisti del WCF sono interessati soprattutto a un mondo di disuguali, gerarchizzato, confessionale, alla carità (asimmetrica e strumentale) al posto della solidarietà (basata sui diritti universali e sulla partecipazione), al business della sanità privata (favorita dalla presenza degli “obiettori” antiabortisti in quella pubblica), all’istruzione privata (favorita dalla riduzione degli investimenti in quella pubblica), alla rioccupazione economica, politica e culturale della sfera pubblica, contro la laicità dello Stato.

I congressisti del WCF sono “estremisti”, che però condividono valori e obiettivi con molti altri, dal papa a tanti politici cattolici, che sanno presentarsi in modi più rassicuranti, e (purtroppo) più efficaci.

La vicenda del WCF ci conferma che i diritti politici, civili e sociali, stanno bene insieme, avanzano o arretrano insieme, perché sono il frutto di due visioni del mondo, con le loro molte articolazioni, ma riconducibili a una concezione illuminista, liberale, democratica, oppure a una concezione autoritaria, gerarchica, oppressiva, al “Dio, Patria e Famiglia”.

Quindi il WCF ci ha spinti a mobilitarci contro i reazionari, a ribadire che le conquiste civili su divorzio e aborto non si toccano, che le donne hanno il diritto di lavorare, di decidere, di autodeterminarsi.

Ci ha anche fornito l’occasione per riflettere tra i progressisti con logica intersezionale, cioè non considerando i problemi che abbiamo separatamente, uno alla volta, ma nel loro insieme, perché i problemi, quando si incrociano, quando si sovrappongono, non si sommano semplicemente, ma si moltiplicano, e strutturano le nostre singole vite e la società nel suo insieme.