La democrazia non può essere ridotta a semplice tecnica, a una procedura elettorale; i tentativi fallimentari di esportarla con la forza l’hanno drammaticamente dimostrato. L’alternativa non è lo Stato etico ma lo Stato costituzionale moderno, basato su pochi ma fondamentali valori, su cui educarci, tra questi la laicità dello Stato.

La laicità è un principio “supremo” perché dichiara che siamo liberi, uguali e autodeterminati, che non dipendiamo da un dio o da un’essenza metafisica. Quindi nella discussione che avviene nella sfera pubblica, cioè nel “luogo” del confronto e della lotta politica e culturale, ogni individuo (singolo o associato in un corpo intermedio) può sostenere le sue convinzioni e i suoi interessi ma non dovrebbe farlo sostenendo che “Dio lo vuole” (e neanche che la “Natura” lo vuole, il “Partito” lo vuole, la “Scienza” lo vuole, ecc. trasformando natura, partito, scienza, ecc. in essenze metafisiche, in dogmi).

Dunque un religioso – anche un religioso molto devoto che porti abitualmente il cilicio – può essere laico se nella sfera pubblica agisce come se dio non fosse dato (etsi deus non daretur). Viceversa un ateo può non esserlo se pretende di imporre principi metafisici indiscutibili.

La laicità, in quanto non semplice tolleranza ma progetto di convivenza sociale autodeterminata, è messa alla prova anche dalle conseguenze della seconda globalizzazione, tra cui le attuali migrazioni.

Molti immigrati accettano discriminazioni dagli autoctoni perché comunque migliorano la loro condizione, non altrettanto le generazioni successive se restano confinate in banlieue. Servono quindi concrete politiche interculturali laiche, dinamiche e inclusive, non un multiculturalismo basato su un concetto di “nazione” quale tradizione culturale/religiosa statica, “da preservare”, come nei quartieri della periferia londinese lasciati all’applicazione della sha’aria.

I diritti umani fondamentali devono restare riferiti al singolo individuo, non a una comunità né a un individuo atomizzato, ma a un individuo sociale, storicamente determinato, che si definisce in base all’insieme delle sue concrete relazioni, non solo a alcune di queste o a astratte “essenze”.

Le migrazioni nei Paesi occidentali – “spinte” da bisogni ma anche “tirate” da una domanda di forza-lavoro a basso costo e senza diritti perché lasciata “clandestina” – sono state gestite spesso nel modo più “economico” e meno lungimirante, alimentando la formazione di comunità etnico/religiose, di ghetti, lasciati in mano a cacicchi che hanno tutto l’interesse a separare e “omogeneizzare” la loro comunità per consolidare il loro potere, a scapito della libertà dei singoli di cambiare contaminandosi, a scapito della laicità.

Giancarlo Straini

[pubblicato sulla rivista NonCredo n. 74]