La crisi da coronavirus evidenzia i problemi già esistenti, e questo vale anche per l’aborto.
Molti ospedali hanno chiuso i già insufficienti ambulatori dedicati all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), e molti dei pochi consultori, necessari anche per diffondere la contraccezione.
In alcuni stati USA l’aborto è stato addirittura classificato come intervento “non essenziale”.
I problemi sono ancora più evidenti se si considera che l’aborto farmacologico, ampiamente utilizzato in altri paesi (97% sul totale aborti in Finlandia, 93% in Svezia) in Italia è solo il 17,8%. Servirebbero provvedimenti e linee guida dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), del Ministero della Salute e delle Regioni per facilitare e per de-ospedalizzare già oggi l’aborto farmacologico.
Le resistenze vengono dai soliti ambienti religiosi anti-aborto, perché la norma che prevede l’ospedalizzazione dell’aborto farmacologico non è fondata su presupposti scientifici.