(estratto da G .Ciccone, Bruciateli tutti, inedito)

10 – L’episodio più drammatico durante la distruzione del paganesimo, agli occhi di uno studioso moderno, fu la distruzione del Serapeo, ovvero tempio di Serapide, con annessa biblioteca, in Alessandria di Egitto. Questa biblioteca era accreditata di circa un milione di opere e intorno ad essa ruotò per secoli un gran numero di persone di cultura, anche organizzate in vere scuole di filosofia. Era già stata danneggiata durante una battaglia tra l’esercito di Giulio Cesare e le truppe di un generale ribelle, allorché il fuoco dalle navi in porto si estese anche ai depositi di libri e bruciarono 40.000 oppure 400.000 volumi.

Ma la biblioteca non finì, forse perché la maggioranza dei testi si era salvata o forse perché essa fu ricostituita. La descrive Strabone come perfettamente efficiente attorno agli anni 25-20 a.C. Caracalla la minacciò di distruzione, ma non attuò il suo progetto. Nel 272 andò a fuoco tutto il quartiere in cui si trovava il Museo con la sua biblioteca, cioè il quartiere detto Bruchion; ma dalla distruzione non fu interessato il tempio di Serapide[1]. Fatto sta che alla fine del quarto secolo essa esisteva, collocata nel tempio di Serapide; i libri in essa conservati erano moltissimi e una scuola di filosofia viveva accanto ad essa[2], scuola in cui primeggiò la figura della filosofa Ipazia.

I cristiani ormai vittoriosi non vollero più tollerare l’esistenza di cultura non cristiana e distrussero tutto, tempio e libri, e infine massacrarono Ipazia. Riporto qui la reticente testimonianza di un pio cristano contemporaneo, Paolo Orosio che scriveva del tempio di Serapide nell’anno 417: “Per quanto oggi, e anche io li ho visti, esistano nei templi armadi per libri rimasti svuotati dopo il saccheggio attuato dai nostri [cristiani] ai nostri tempi, il che è senz’altro vero …”.

Paolo Orosio riferisce l’episodio con l’unico intento di minimizzarne la gravità, sostenendo che quella non era la vera biblioteca di Alessandria, ma si trattava soltanto di copie raccolte dopo l’incendio dei tempi di Giulio Cesare[3]. In seguito questo episodio è stato ignorato dalla maggior parte degli storici e oggi la colpa della distruzione della biblioteca di Alessandria viene ufficialmente attribuita a qualche sovrano mussulmano[4]. Ma la testimonianza di Eunapio, scrittore pagano del V secolo, addita come responsabili della distruzione del tempio di Serapide e di tutto ciò che vi era contenuto il vescovo di Alessandria, Teofilo, e le sue turbe di monaci organizzati militarmente, riferendosi probabilmente all’anno 391[5].

[1] Ammiano Marcellino, Le storie, XXII,16,15; Zosimo, ; Epifanio, P.G. 43, col.252.[2] Sull’attività di tale scuola nella seconda metà del IV secolo vedi Ammiano Marcellino, Le storie, XXII, 17-18.[3] Paolo Orosio, Storie contro i pagani, VI,15,32.[4] Edward Gibbon, Decadenza e caduta dell’impero romano, p.2112. Gibbon accredita la leggenda che vuole i libri della biblioteca alessandrina dati alle fiamme nel 640 dall’emiro Amr al-As per ordine del sultano Oman, a seguito dell’interessamento del sapiente cristiano-eretico Giovanni Filopono, intervento rivelatosi controproducente. Cfr. Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, pp.122 segg. La notizia dell’incendio dei libri di Alessandria viene oggi falsamente attribuita ad Eutichio, storico arabo-cristiano del IX-X secolo [A.Castoldi, Bibliofollia, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2004, p.29], il quale ricordò soltanto la moderazione dei mussulmani dopo la conquista di Alessandria [Eutychii Patriarchae Alexandrinae Annales, in Patrologia Graeca 111, Paris 1863 col.1107 (traduzione latina)]. Sui pochi riferimenti antichi alla distruzione della biblioteca di Alessandria da parte dei mussulmani e sulla loro attendibilità cf. G.Furlani, Sull’incendio della biblioteca di Alessandria, Aegyptus. Rivista Italiana di Egittologia e di Papirologia[5]