Non dobbiamo accettare la svalutazione del lavoro ricreativo e culturale. Ogni professione lavorativa ha un riconoscimento sociale, uno status che ne definisce l’importanza, le retribuzioni, le condizioni di lavoro; che stabilisce se sono attività riservate alle élite, al ceto medio o agli immigrati.

La pandemia ha evidenziato il basso status delle attività svolte nei settori della ricreazione e della cultura. Le restrizioni hanno mostrato le differenze di status e di potere dei settori produttivi e delle lobby: l’industria e la chiesa hanno potuto godere di condizioni migliori – non sempre oggettivamente motivate – rispetto ai settori della cultura in generale (scuola, musei, teatri) e di quelli gestiti dall’Arci in particolare.

Spesso le stesse rivendicazioni del mondo della cultura hanno assunto un carattere difensivo (ristori per sopravvivere), non la rivendicazione orgogliosa della propria utilità sociale; più chiedendo un intervento caritatevole che lottando per la riconquista di un diritto e di un adeguato riconoscimento pubblico.
L’Arci di Milano, Lodi, Monza e Brianza ha promosso una manifestazione sabato 20 febbraio 2021 proprio per aprire alla cultura, per aprire i circoli Arci, per affermare l’importanza della socialità e del mutualismo.

I manifestanti hanno descritto le loro attività, riassumendole nella citazione di Dante Alighieri: «Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza».
Lo Stato esercita comunque una funzione di regolazione delle attività dei vari settori, che lo faccia bene o male, con azioni o omissioni, con efficienza o con clientele, direttamente o indirettamente. Dobbiamo rivendicare politiche pubbliche e misure coerenti anche per la cultura.

Contro l’economicismo di chi ci riduce a consumatori monodimensionali, contro la chiesa che nega la nostra autodeterminazione e pretende privilegi, dobbiamo promuovere una visione del mondo basata su individui relazionali, che producono manufatti, cultura, servizi, scelti e considerati importanti in base alla loro effettiva utilità sociale, in una società basata sull’autodeterminazione, sulla libertà e sull’uguaglianza.