Il tema è molto vasto e complesso, non ci proponiamo certo di esaurirlo ma almeno di delineare alcuni concetti, approfittando delle competenze di Alessandra e di Marzia. Dico qualcosa per introdurre il tema trattato; in sostanza più che affermazioni sono domande che sottopongo alle relatrici.

Per capire l’importanza del diritto internazionale bisogna però innanzi tutto riconoscerne i molti limiti. Tra i molti possibili esempi di violazione del diritto internazionale abbiamo scelto di parlare delle attuali violazioni del diritto internazionale in Palestina. L’obiettivo non è quello di soppesare i torti per schierarsi da tifosi (anche perché Netanyahu e Hamas si alimentano a vicenda).

L’obiettivo non è nemmeno quello di prospettare una soluzione – io personalmente credo che l’unica possibilità (ma purtroppo, se mai ci sarà, a lungo termine) sia la paziente costruzione di uno stato laico, plurietnico e plurireligioso. Ma non parleremo di questo. Gli esempi che ci porterà Marzia ci serviranno per capire le varie violazioni del diritto internazionale, a partire dal regime di sostanziale apartheid che discrimina i palestinesi a diversi livelli di discriminazione.

L’azione di Amnesty (e di altre associazioni) è preziosa nel denunciare le violazioni. Amnesty non propone soluzioni perché queste sono compito della politica; politica che, però, ha mostrato quanto la questione palestinese sia stata usata strumentalmente, sia dai Paesi occidentali che dai Paesi islamici, per i propri interessi geopolitici, innanzi tutto sulla pelle dei palestinesi.

Le violazioni del diritto internazionale sono così tante e così gravi, che si è diffuso il dubbio se il diritto internazionale esista effettivamente.

Il diritto internazionale è molto diverso dal diritto di uno Stato-nazione. Noi di Arciatea sosteniamo il razionalismo scientifico e l’autodeterminazione dell’umanità, quindi crediamo che i diritti non derivino da principi “naturali” metafisici, ma dalle scelte storicamente fatte da donne e uomini. Le Costituzioni moderne hanno incorporato alcuni principi, come valori di riferimento per norme che i cittadini possano rivendicare a una istituzione capace di renderle effettive, eventualmente lottando per farsele concretamente riconoscere dalla controparte istituzionale.

Nel caso del diritto internazionale l’effettività del diritto è molto più debole che in uno Stato nazionale, dove pure l’effettività dei diritti non è sempre garantita. Peraltro, l’ONU, la principale autorità mondiale, vede indebolirsi la sua influenza da decenni, in un mondo sempre più caotico, a seguito – semplifico moltissimo – della fine dell’ordine bipolare Usa-Urss.

Gli Stati Uniti, che hanno vinto la guerra fredda, sono però incapaci di proporsi efficacemente come unica superpotenza che garantisca l’ordine internazionale (incapacità che può essere anche valutata positivamente). Però il mondo multipolare che sta emergendo non sembra proprio basarsi sul diritto internazionale e sul ruolo dell’Onu, ma su tanti conflitti locali gestiti da cacicchi, che cercano di approfittare del “disordine” per affermare i propri interessi su scala al massimo regionale.

In questo senso mi sembra fuorviante sostenere che sarebbe in corso una terza guerra mondiale, sia pure a pezzi: è uno slogan suggestivo che non mi sembra però corretto, perché non ci sono più grandi potenze e strategie globali… ma questo sarebbe argomento per un’altra conferenza. Ho accennato alla geopolitica solo per indicare la complessità di una situazione che, purtroppo, non sta andando nella direzione di un pacifico multipolarismo basato sul diritto internazionale, come ci piacerebbe.

Noto che alcuni reagiscono rimpiangendo la “sicurezza” offerta dal dominio imperiale statunitense, l’egemonia che ci garantiva la pace. La pace e la democrazia in Europa (certo, con qualche bomba sui treni), con qualche guerra nelle periferie del mondo, dove non erano abbastanza entusiasti di acquistare la “democrazia” che gli esportavamo. Ho recentemente sentito una trasmissione televisiva in cui una persona stimabile qual è Corrado Augias ripensava e dava un giudizio positivo sul Congresso di Vienna del 1815, perché aveva garantito un secolo di pace: ciò mi ha preoccupato molto perché quando andavo a scuola mi avevano insegnato che il Congresso di Vienna era stato uno strumento di conservazione, se non di reazione, contro le aspirazioni dei popoli. Sembra quasi che questa affermazione di Augias nasconda un desiderio per una pax americana che, però, regge sempre meno.

Altri reagiscono mettendo al centro l’anti-americanismo, che giustificherebbe l’”operazione speciale” in Ucraina o la “resistenza” palestinese anche quando colpisce i civili con azioni terroristiche. Più in generale, ci sono reazioni basate su un multiculturalismo che favorisce la formazione di ghetti domestici e lascia sviluppare le tensioni internazionali che sfociano in guerre locali.

Altri ancora rifiutano queste due impostazioni ma si limitano alle fiaccolate e alle petizioni su change.org, come se l’indignazione morale e l’invocazione di un generico umanismo fossero sufficienti. Ricordo che la più grande manifestazione mondiale si tenne il 15 febbraio 2003 e coinvolse 110 milioni di persone in 793 città contro la guerra in Iraq (in Italia 3 milioni alla manifestazione di Roma). Il New York Times aveva definito l’opinione pubblica la seconda potenza mondiale. Invece solo un mese dopo USA e alleati attaccarono l’Iraq (con le conseguenze che conosciamo) a conferma che l’opinione, se non si consolida in una visione del mondo generale (in una ideologia) e nella conquista di istituzioni (le casematte gramsciane) rapidamente si frammenta e viene riassorbita dall’ideologia dominante.

Nel nostro piccolo vorremmo discutere senza tifoserie e semplificazioni estreme, cioè fornendo un contributo alla consapevolezza che il diritto internazionale ha molti limiti, ma senza sarebbe peggio.

Vedi la conferenza da cui è tratto: