Il termine cosmopolitismo è polisemico, nella tradizione liberale tende ad assumere spesso un significato economico, in quella socialista si declina come internazionalismo. Entrambe queste culture politiche discendenti dall’Illuminismo non ammettono distinzioni di razze e di nazionalità, auspicano una fratellanza universale, proclamano la relatività della patria – che non è intesa come “sangue e suolo” ma come garante dei diritti e artefice della felicità –, sono una espressione della modernità laica, della formazione dello Stato-nazione.

Invece il cosmopolitismo religioso è pre-moderno, si basa su una visione organicistica della società umana. La chiesa cattolica (katà òlos, tutt’uno) è “universale” per la comunità dei fedeli, pretende di rappresentare la Verità Rivelata, è giusnaturalista, considera “naturali” (in quanto creazione divina) la persona, la famiglia, la comunità. Invece lo Stato-nazione della modernità sarebbe una costruzione “artificiale” (innaturale, se non proprio contro natura), con cui la chiesa può dover convivere, ma che resta una soluzione quantomeno inadeguata da cambiare appena possibile.

Però la modernità ha prodotto la secolarizzazione, la crescita dell’ateismo e dell’agnosticismo, l’estraneità alla religione dei giovani, e soprattutto la “scomposizione” dell’organicismo cattolico anche per la maggior parte dei fedeli (vedi Franco Garelli, Gente di poca fede, il Mulino 2020).

Oggi la maggior parte dei fedeli adotta una religione a bassa intensità, crede e partecipa ai riti in modo debole e intermittente; assume qualche “componente” della meta-narrazione cattolica (per esempio riguardo alla tradizione culturale) ma ignora del tutto la dottrina in altri campi (per esempio sui comportamenti sessuali), comunque non vive la religione in modo totalizzante, integrale.

Una parte dei cattolici (soprattutto di destra, ma non solo) reagisce riproponendo l’organicismo, in comunità spesso chiuse in se stesse per riaffermare “integralmente” le proprie credenze, che si sentono accerchiate, testimoniali o missionarie.

Altri propongono un adattamento al contesto della seconda globalizzazione che si è affermata a cavallo del millennio, che ha indebolito proprio lo Stato-nazione – quell’”artificio” che pretende di fondarsi sull’autodeterminazione dell’umanità – indebolito anche grazie alla sussidiarietà entrata nella Costituzione con la disastrosa riscrittura del Titolo V per “privilegiare la vicinanza alle persone”, che in realtà ha solo favorito il cacicchismo dei governatori e dei podestà, e un federalismo che non unifica gli Stati ma li frammenta. Per fare solo un esempio, Chiara Giaccardi e Mauro Magatti sostengono che «Nell’epoca della “sovranità limitata”, pensare la sfera pubblica secondo la dicotomia pubblico (stato)/privato (religione) non basta più. […] Ha senso, ad esempio, considerare le multinazionali come soggetti puramente privati? E lo stesso interrogativo non vale, a maggior ragione, per le grandi Chiese che raccolgono centinaia di milioni di fedeli?» (La scommessa cattolica, il Mulino 2019).

In altri termini, la perdita di sovranità degli Stati-nazione apre nuove prospettive alle multinazionali, tra cui il cattolicesimo, calante in Europa ma più vivace in Africa, in Sudamerica e (forse) in Oriente. Il Vaticano, peraltro, ha bisogno di riaffermare la sua autorità contro le spinte centrifughe delle varie Conferenze Episcopali (vedi anche le nomine cardinalizie fatte da Bergoglio).

Lottare culturalmente e politicamente per orientare e rafforzare le istituzioni sovranazionali, quali l’ONU e l’UE, e contro gli egoismi nazionalisti, romantici e populisti (“prima gli…”), è cosa ben diversa da un irrealistico cosmopolitismo dei buoni sentimenti, che deforma il concetto di diritto dandogli il significato di dono, che trasforma le conquiste egualitarie della solidarietà nella gerarchica e strumentale carità (esentasse), con istituzioni (chiese, grandi imprese, fondazioni, ecc.) in competizione tra loro ma unite contro la modernità basata su autodeterminazione, diritti, cittadinanza, Stato-nazione.

Ci viene prospettato un mondo per certi aspetti simile a quello medievale, contemporaneamente più generale e più particolare rispetto a quello della modernità, con influencer globali (dalla Coca Cola, alle chiese, ai social media), con “nazioni” basate su una tradizione religiosa, con corporazioni, comunità territoriali e professionali, ghetti.

La diffusione del pluralismo religioso obbliga la chiesa cattolica a un cauto ecumenismo e Bergoglio cerca di tenere insieme il tutto; si rivolge ai diversi segmenti sociali con una grande capacità comunicativa che mette in ombra la contraddittorietà dei suoi messaggi: con Laudato si’ corteggia il mondo ambientalista, con La via di Gesù richiama alla tradizionalissima sottomissione contro ogni spirito critico, con Fratelli tutti si rivolge alla politica orfana del socialismo, ecc. Ma resta completamente immobile sulla dottrina e sui temi controversi quali il ruolo delle donne e il celibato del clero; il motivo ricorrente è la rivendicazione della propria presenza sulla sfera pubblica, perché vita, natura, socialità sono doni divini ed è empio pensare che siano frutto delle nostre scelte (cioè diritti esigibili solo da istituzioni terrene).

Giancarlo Straini

[pubblicato sulla rivista NonCredo n. 70]