Si sa ancora poco sulla riedizione della strategia della tensione degli anni 1992-1993. Si sa quasi tutto sulla strategia della tensione che ha insanguinato l’Italia negli anni ’60 e ’70 e che è culminata nella strage di Bologna del 2 agosto 1980. Una strategia finalizzata a destabilizzare per stabilizzare a destra il sistema politico, guidata da apparati “deviati” (?!?) dello Stato, che hanno utilizzato manodopera fascista. Per fare solo un esempio, Junio Valerio Borghese voleva attuare un golpe “alla greca” ma venne bloccato dai mandanti atlantici e domestici, che avevano bisogno solo di una “intentona” (cioè di un quasi-golpe, avviato ma non portato a termine) per condizionare a destra il quadro politico.

Non bisogna mai dimenticare che l’Italia ha perso la guerra e è finita nella sfera d’influenza dell’impero USA. Grazie alla Resistenza ha potuto contrattare un po’ di libertà d’azione, ma la sua collocazione nell’Occidente era e è indiscutibile. Comunque, la fine della guerra fredda – culminata con lo scioglimento dell’Urss nel 1991, e parallelamente del PCI – ha ridotto l’interesse geopolitico degli Stati Uniti per l’Italia.

Siamo ancora lontanissimi dalla verità (giudiziaria e storica) sulle bombe del 1992-1993. La fine della guerra fredda – che aveva giustificato (unico caso in Europa) l’assenza di alternanza dei governi – ha messo in crisi la DC (che si è sciolta nel 1994). Crisi, accelerata da “mani pulite” e dalla nascita della Lega Nord, che ha avviato il percorso verso la cosiddetta “seconda repubblica“. Nel 1992-1993 l’Italia era anche sull’orlo di un tracollo finanziario, alimentato dalla speculazione internazionale.

In questo complesso contesto, la mafia ha attuato una strategia stragista anomala per la sua tradizione, che lascia supporre che ci sia stata quanto meno una convergenza di diversi attori (servizi “deviati”, finanza internazionale, politici italiani, fascisti, piduisti). È certo che la mafia ha fornito la manovalanza (anche per “trattare” condizioni di detenzione meno pesanti del 41 bis); è anche certo che aveva legami con i “servizi” (vedi il “suicidio” in carcere di Gioè, e non solo); che ha profondi legami con la politica (sui legami con Dell’Utri e Berlusconi sono state aperte, chiuse e riaperte varie indagini).

Anche il piduista Gelli e il fascista Delle Chiaie sono stati indagati sulla base dell’ipotesi investigativa (risultata non «sufficientemente provata») «di un’associazione finalizzata all’eversione dell’ordine costituzionale, costituita fra il 1990 ed il 1991, nel quale sono confluiti soggetti diversi e portatori di interessi talvolta eterogenei ma comunque convergenti: e cioè, uomini di vertice di Cosa Nostra (in particolare, appartenenti allo schieramento corleonese e particolarmente vicini a Totò Riina), uomini provenienti dalle fila della massoneria “deviata” e dall’eversione nera».

Varie inchieste giornalistiche hanno ricostruito alcuni aspetti, ma manca ancora una spiegazione attendibile sui mandanti nazionali e/o internazionali della strategia stragista di quegli anni. In ogni caso, Ciampi ha dichiarato che «quella notte ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora e lo penso ancora oggi»; anche Mattarella e altri (tutt’altro che dediti al complottismo) indicano che c’è ancora molto da “fare luce”.

Brancoliamo nel buio ma per fortuna c’è Andrea Riccardi – storico e politico della Comunità di Sant’Egidio – che finalmente ci spiega la vera causa della strategia stragista: «Gli attentati del 1993 furono un chiaro messaggio dei boss a Giovanni Paolo Il che pochi mesi prima in Sicilia li aveva attaccati: “Convertitevi! Verrà il giudizio di Dio!”», titola un suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 27/7/2023.

Ma cosa aveva detto Wojtyla di così straordinario da scatenare addirittura una riedizione della strategia della tensione? Alla fine di una messa ad Agrigento aveva detto «non uccidere» e «pentitevi», il minimo sindacale per un qualsiasi cristiano; non aveva neanche richiamato le varie attività criminali della mafia (comprese quelle finanziarie a cui lo IOR non era stato estraneo). Certo, aveva citato esplicitamente la mafia, ma questa “novità” semmai mostra il complice ritardo di non averlo fatto prima.

Eppure allo “storico” Riccardi bastano queste banali dichiarazioni – ma declamate, dice, con «tono da profeta biblico» – per convincere la mafia a mettere le bombe al Laterano e al Velabro; lo dimostrerebbe una intercettazione di un colloquio in cui Riina dice che «Il Papa si deve fare i fatti suoi» (sic!).

Forse l’articolo di Riccardi spiega solo che i cattolici hanno un grande bisogno di sentirsi al centro dell’attenzione; hanno bisogno di stiracchiare la storia e la cronaca pur di vantare la propria centralità, visto che la religiosità degli italiani è in calo qualitativo e quantitativo.