Il Comune, la Città metropolitana e l’Università di Bologna hanno firmato un protocollo con i “Capi delle Comunità Religiose Abramitiche”. A prima vista verrebbe da dire che è una buona cosa tutto ciò che favorisce il dialogo, ma una lettura un po’ meno superficiale può mostrarci il “diavolo”, che si nasconde nei dettagli delle cose dette e soprattutto di quelle non dette.

Se paragoniamo questo protocollo firmato l’8 aprile 2021 con uno dei tanti accordi sulle stanze del silenzio – per esempio quello con il Comune di Milano del 5 giugno 2019 – scopriamo che tutti si dichiarano per il dialogo ma non intendono la stessa cosa.

Innanzi tutto, la chiesa cattolica non aderisce al dialogo quando è paritario, come nel caso della stanza del silenzio e dell’assistenza spirituale confessionale e aconfessionale. A Bologna invece l’arcivescovo si fa promotore di una iniziativa che include alcuni (una parte dei cristiani, dei musulmani e degli ebrei) ed esclude altri cristiani (valdesi, ortodossi, ecc.), altre religioni (buddhisti, sikh, ecc.) e gli atei e gli agnostici.
L’accordo si conclude ipocritamente con una “apertura” finta perché totalmente condizionata: “Il Protocollo è aperto alla sottoscrizione delle confessioni religiose presenti nell’Area Metropolitana di Bologna che ne condividono le finalità e gli obiettivi e intendono collaborare al loro raggiungimento”. Con atei e agnostici non si fa neanche finta, sono esclusi e basta.
Il protocollo milanese, invece, all’art. 3 recita: “Nuove adesioni al presente accordo sono possibili in qualunque momento mediante semplice domanda scritta alla direzione dell’a.s.p. e non possono essere rifiutate se non per motivi di ordine pubblico”.

Verrebbe da chiedersi se il protocollo rispetti il tanto celebrato (dai media) ecumenismo di papa Bergoglio, ma in realtà anche la recente enciclica Fratelli tutti ribadisce la tradizionale dottrina: “La Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni, e ‘nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni'” (Fratelli Tutti, 277). Cioè in sostanza dice: la Verità (assoluta) è la mia, posso al massimo riconoscere che parte della mia verità sia finita anche nelle altre religioni. Questo spiega il perimetro abramitico; i testi sacri e la tradizione in comune favoriscono questo ecumenismo cauto e per necessità, che è sicuramente meglio dell’ammazzare gli infedeli e gli apostati, ma che non offre certo un terreno di dialogo pluralista e paritario.

La dottrina sociale cattolica si basa sul principio di sussidiarietà, cioè su una posizione antistatalista (sussidiarietà negativa) ma – diversamente dall’autonomia delle sfere di matrice protestante – non contraria a chiedere “sussidi” allo Stato (sussidiarietà positiva). La delibera 4314 del 21/12/18, alla base del protocollo milanese, recita: “promuovere la cultura della libertà di culto multiconfessionale e dell’assistenza spirituale aconfessionale nelle strutture pubbliche e in altri ambiti pertinenti, con studi, seminari, convegni, manifestazioni; sottoscrivere accordi di collaborazione con queste finalità, a titolo non oneroso“. Invece il protocollo bolognese recita: “Il Comune di Bologna si impegna a fare la proposta di una sede, che sarà finanziata da contributi pubblici e privati”.

La chiesa cattolica è glocalista, cioè considera “naturali” le famiglie e le comunità ma “artificiale” lo Stato-nazione (quello nato con l’Illuminismo e la rivoluzione francese, basato sulla sovranità popolare e sui diritti, che ha sostituito i privilegi e la carità con il welfare). La chiesa cattolica è insieme cosmopolitista e comunitarista, comunque sempre antistatalista. Infatti possiamo leggere che il protocollo offrirà i mezzi per diffondere “a livello locale, europeo e internazionale il patrimonio di conoscenze e di cultura interreligiosa e interculturale acquisite”. Guarda caso manca proprio il livello nazionale.

A che serve la “Casa”? All'”educazione alla cittadinanza e alla pace, nel rispetto dei valori costituzionali e della laicità dello Stato”. Bene, verrebbe da dire, però la “laicità” (che dovrebbe basarsi sull’etsi deus non daretur) viene subito re-interpretata (risemantizzata) presupponendo la presenza delle religioni nella sfera pubblica. La base è “l’interazione positiva e cooperativa fra persone appartenenti a differenti tradizioni religiose”. Per le seconde generazioni di famiglie immigrate, per gli insegnanti, ecc. “obiettivi primari sono la conoscenza e il rispetto del calendario e delle feste delle diverse Comunità religiose”; mica di quelle civili come il 25 aprile e il 1° maggio!

Gli obiettivi sono sempre e soltanto relativi alla “libertà religiosa” delle tre comunità abramitiche ed è ancora più significativo quello che è omesso: non si parla del ruolo delle donne, di omosessualità, lgbt, fine vita, libertà di apostasia. I temi e la gestione sono affidati a un organismo “presieduto a turno da un esponente delle tre comunità religiose coinvolte”, più precisamente ai tre “Capi delle Comunità Religiose Abramitiche”.

Il sindaco di Bologna Virginio Merola e il Rettore dell’Università Francesco Ubertini sembrano avere firmato senza neanche avere letto il testo; non si sono accorti del perimetro ristretto (abramitico), della chiusura ad altre culture, dell’antistatalismo, dell’onerosità, del verticismo (i “Capi”), dei temi e della gestione; non si nota nemmeno un tentativo di bilanciare un protocollo completamente improntato di cultura clericale, forse perché Bologna val bene una messa, o anche un protocollo.