Capita di vedere atleti, anche alle Olimpiadi di Tokyo, farsi il segno della croce prima di una competizione. Tanto basta ad alcuni per sostenere che c’è uno stretto legame tra sport e fede cattolica, e che la religiosità è in ascesa.

La chiesa cerca sempre di assegnare un significato religioso ad ogni cosa e Bergoglio lo fa con grande abilità (“la Chiesa è chiamata ad essere segno di Gesù Cristo nel mondo, anche mediante lo sport praticato negli oratori, nelle parrocchie e nelle scuole, nelle associazioni”). È vero che i giochi olimpici avevano un significato religioso nell’antica Grecia, ma è paradossale ricordalo perché furono proprio i cristiani a condannare l’agonismo e poi a vietare i Giochi nel 393, quando il cristianesimo divenne religione di stato (soprattutto grazie all’ipponate Agostino e al milanese Ambrogio) e cominciò a perseguitare sistematicamente i non cristiani.

I Giochi olimpici sono rinati con la modernità, quando si è affermata (ma non completamente) la laicità dello Stato e la chiesa ha perso il potere temporale; sono rinati mutuando anche forme delle cerimonie religiose, ma come riti civili, che però semmai richiamano la religiosità pagana degli antichi, il loro culto anche estetico del “bello e buono” (kalòs kai agathòs), cioè proprio ciò che è stato condannato dai cristiani.

Ciò non ferma il tentativo della chiesa di risemantizzare in chiave cattolica ogni evento, a maggior ragione se è popolare, se può rappresentare un veicolo di consenso. È quindi ovvio che la chiesa esalti gli atleti che si dichiarano cattolici, perché “dare il meglio di sé nello sport è anche una chiamata ad aspirare alla santità”, celebri il loro “culto del sacrificio”, e ci offra altre analogie tra sport e religione (ma sorvola sull’analogia tra la fede violenta dei tifosi hooligan e quella dei fanatici religiosi).

In realtà il mondo dello sport rispecchia quello dell’intera società: c’è passione genuina, mercificazione, strumentalizzazione politica, ritualità, spettacolarizzazione, ecc. ecc. Ci sono ovviamente anche atleti cattolici, alcuni che vivono intensamente la loro fede, molti altri – la maggioranza di chi si dichiara cattolico, secondo varie inchieste sociologiche – che adottano una religione a bassa intensità, un’appartenenza senza credenza, cioè un modo superficiale e intermittente di vivere la religione.
È probabile che in molti casi il segno della croce prima di una prova sia nient’altro che un gesto scaramantico ed esorcistico, un gesto a cui si crede poco ma perché non farlo visto che costa così poco? è come toccare un cornetto portafortuna, senza crederci troppo, ma non si sa mai.