In una intervista su Limes – «Così la Chiesa pensa il mondo» – e ripresa su VaticanNews, Lucio Caracciolo e Guglielmo Gallone intervistano il cardinale e arcivescovo Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, che mostra di essere un abile diplomatico, nel senso letterale di colui che si occupa di politica estera, e anche nel senso estensivo di colui che sa eludere le domande scomode.

L’intervista infatti è interessante soprattutto per le domande “poco diplomatiche”, tra cui: cosa distingue la diplomazia vaticana? quanto è universale o “nazionale”? La chiesa è pacifista? quale dialogo con le altre confessioni?

Le risposte sono in genere abbastanza scontate e ipocrite – «la Santa Sede non ha interessi politici, economici», ecc. – oppure sono discorsi che cercano di tenere insieme la rivendicata superiorità morale e spirituale della chiesa, la rigidità della dottrina, la flessibilità della geopolitica.

Per esempio, appare chiaro che la centralità è «garantire la libertà delle Chiese locali rispetto alle autorità civili»; in realtà il termine “libertà” è usato anche nel senso di mantenere i privilegi, o riferito all’accordo con clausole segrete per tentare di entrare nel vasto “mercato” religioso cinese.

Alla domanda sulle tendenze centrifughe delle varie Conferenze episcopali, Parolin risponde (ovviamente) ribadendo il carattere universale del cattolicesimo; alla domanda sul pacifismo risponde citando il Catechismo che ammette la guerra giusta definendone le condizioni (poi Bergoglio, sul piano della comunicazione, può “contraddittoriamente” dichiarare l’immoralità delle spese per armamenti).

Qualcosa di più attuale emerge quando Parolin difende il papa dall’accusa di essere filorusso, legittimando il sostegno alla resistenza armata degli ucraini, ma ribadendo che il papa non è «il cappellano dell’Occidente» e barcamenandosi sui possibili viaggi e rapporti con Kirill.

In sintesi, una intervista interessante che ci mostra – senza sorprenderci – la duttilità della politica vaticana, come il bambù rigidamente ancorata al suolo della sua immutabile dottrina, ma anche flessibile al vento della comunicazione. Una grande capacità politica di agire contemporaneamente su piani diversi, che purtroppo manca ai nostri partiti.