«l’Italia religiosa è in grande movimento, per la crescita dell’ateismo e dell’agnosticismo tra i giovani, l’aumento di fedi diverse da quella della tradizione, la ricorrente domanda di forme nuove o alternative di spiritualità»: inizia così l’ottimo, documentato e ragionato libro di Franco Garelli Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, pubblicato recentemente da il Mulino.
La religiosità resiste soprattutto tra gli anziani (in particolare tra le anziane e i meno scolarizzati), si riduce tra gli adulti, crolla tra i giovani (sia maschi che femmine): «Proprio tra i giovani troviamo – rispetto alle altre età della vita – la quota più alta di persone (tra il 35 e il 40%) che si dichiarano “senza Dio”, “senza preghiera”, senza una pratica cultuale, senza una vita spirituale».
L’incredulità dichiarata è, in Italia, ancora relativamente bassa rispetto agli altri Paesi europei, soprattutto del centro-nord, ma è in costante crescita.

Garelli ci fa notare non solo il dato quantitativo ma anche e soprattutto quello qualitativo: molti continuano a dichiararsi cattolici ma con uno stile più dubbioso, discontinuo e “fai da te”.
La chiesa è immobile con la sua dottrina e le sue dogmatiche certezze. I fedeli invece dubitano; frequentano poco e senza continuità i riti e le chiese; in campo morale scelgono caso per caso, seguendo il senso comune, le proprie inclinazioni, le condizioni particolari che vivono; riconoscono alla chiesa un’autorità morale ma scelgono da soli e volta per volta cosa accettare, aderiscono in modo selettivo ai contenuti di fede; il lato soggettivo prevale su quello comunitario, sul confronto nell’ecclesia.

Ne risulta un cattolicesimo stanco; con un dio incerto e intermittente, solitario, precario, più sperato che creduto; un “credere relativo” (da cui il titolo Gente di poca fede).
Il sentimento religioso, non solo dei cattolici, permane soprattutto come memoria, tradizione, appartenenza etnico-culturale (appartenenza senza credenza).
La popolarità di Bergoglio (seppure spesso superficiale e in calo) resta molto alta, ma non trascina quella della chiesa, dell’istituzione che rappresenta.
Permane uno zoccolo duro – circa un quinto della popolazione – di credenti “convinti e attivi” che frequentano con regolarità i riti, vivono la fede e aderiscono a una visione del mondo su famiglia, bioetica, educazione dei figli; ma la novità maggiore, per Garelli, è che ormai i credenti incerti prevalgono sui credenti certi.

FIG. 1.2. Credenza in Dio: non credenza, fede dubbiosa e fede certa. Confronto tra anni diversi (1991, 2007, 2017, %).

Garelli descrive i risultati dell’indagine e li spiega con il contesto.
Il cattolicesimo etnico-culturale (cioè il legame alla chiesa più per ragioni identitarie che di fede) è originato anche dal crescente pluralismo religioso e dalle paure (fondate o alimentate da settori politici) legate alle migrazioni e alla globalizzazione.

Garelli indica lo “spirito del tempo”, la “precarietà del vivere che pervade la modernità avanzata”, quale origine del “credere relativo”. Non usa il termine postmodernismo ma sembra fare riferimento a questo Zeitgeist egemone da fine anni ‘70 all’inizio del millennio (e forse anch’esso in crisi).
Il postmodernismo non è una teoria organica ma un insieme di teorizzazioni, stili di vita e stati d’animo (di varia qualità) accomunati da alcuni elementi: la svalutazione del lavoro e l’esaltazione del consumo immediato, l’abbandono del “pensiero forte” (delle meta-narrazioni), il pensiero debole che demistifica ma non risolve, la svalutazione della scienza, la scomparsa del passato e del futuro appiattiti in un presente metastorico, il mito dell’eterna giovinezza (New Age), identità individualistiche, instabili e mutevoli (adattate al rischio).

In questo contesto anche la meta-narrazione religiosa viene frammentata e precarizzata, si trasforma in una religione a bassa intensità (generando però anche reazioni “fondamentaliste”, in tutte le confessioni).
La religiosità perde il carattere unitario, totalizzante, che aveva in passato; per molti non investe più la vita intera ma si scompone in dimensioni (sfere, campi), contigue ma relativamente autonome: quelle della devozione, della dottrina, dell’organizzazione, della politica, della fede, dell’etica, della comunicazione.
La secolarizzazione procede, sia pure in modo non lineare, soprattutto per la perdita del suo carattere totalizzante, anche se in alcuni campi possiamo assistere a una sua revanche, a una rinnovata presenza delle religioni nella sfera politica. Presenza paradossale visto che si accompagna alla riduzione della partecipazione ai riti e dell’adesione alle dottrine. Una rinnovata e “ingiustificata” presenza delle religioni nella sfera pubblica, che richiede e giustifica la militanza laica della robusta minoranza atea e agnostica.

D’altra parte, il nichilismo postmodernista non crea problemi solo alle religioni, ma anche in generale alla coesione sociale e alle visioni del mondo razionaliste (sia liberali che socialiste, discendenti entrambe dall’antenato comune illuminista).
Gli atei devoti (cioè quella parte dell’élite che promuove la funzione di controllo sociale delle religioni) e i principali mezzi di informazione rispondono alla domanda di senso (che proviene in qualche modo dalla società resa “liquida” per l’aumento delle disuguaglianze e della precarietà), assegnando alla chiesa cattolica un credito etico (se non un’esclusiva), un’autorità morale e spirituale, che contraddice il principio laico della separazione tra Stato e chiesa, dell’etsi deus non daretur (anche se dio non fosse dato).
Anche Garelli, come gli atei devoti, sembra auspicare una “religione standardizzata” (cosmopolita e pluralista) capace nello stesso tempo di esprimere “le potenzialità etiche insite nelle diverse fedi” ma senza la conflittualità fra le diverse confessioni religiose.
In realtà il pluralismo religioso non si traduce necessariamente in una neutralizzazione reciproca delle varie confessioni: può anche assumere (vedi nella periferia londinese) la forma di ghetti multiculturalisti, coalizzati contro il laicismo, uniformanti e autoritari al loro interno.

La ridefinizione di un “pensiero forte”, di valori costituzionali su cui fondare la coesione sociale, è considerata necessaria anche da chi scrive, non però per prendere la strada di un ritorno al premoderno (basato su eterodirezione, teocrazia, carità, patriarcato, consolazione, ecc.), ma verso il cantiere aperto dell’Illuminismo (basato su libertà, uguaglianza e solidarietà), verso l’autodeterminazione dell’umanità.

Giancarlo Straini

[pubblicato sulla rivista NonCredo n. 68]