Non si tratta di rincorrere qualcosa che starebbe davanti – la piena affermazione della modernità, con tutti i suoi successi – né di inseguire un sogno di restaurazione della Chiesa – cullandosi nella nostalgia di un passato ormai perduto. Si tratta, piuttosto, di recuperare la consapevolezza di avere qualcosa di inaudito da dire a questo tempo.

Duemila anni di storia, un miliardo e 300 milioni di fedeli in continua crescita grazie alla spinta demografica dei paesi del Sud del mondo. Eppure la Chiesa cattolica appare invecchiata e impacciata, soprattutto in Europa dove per la maggior parte dei trentenni la “questione di Dio” non ha alcuna rilevanza, e gli scandali finanziari e sessuali hanno inferto un duro colpo alla sua reputazione. In Occidente il destino della fede deve misurarsi con un passato in cui si sono intrecciati cristianesimo, modernità, secolarizzazione, e con un presente che vede convivere progresso scientifico e religioni fai-da-te. In che modo allora la Chiesa potrà stare al passo con la vicenda moderna di cui è stata una matrice, ma che oggi la mette in difficoltà? C’è ancora posto per domande che non si esauriscano nelle promesse della tecno-scienza? E, d’altro canto, che futuro ha una modernità che recida completamente il dialogo con la religione?

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Nell’epoca della «sovranità limitata», pensare la sfera pubblica secondo la dicotomia pubblico (stato)/privato (religione) non basta più. Prima di tutto perché l’intero pianeta è intessuto di infrastrutture che sostengono una fitta rete di scambi e relazioni tra individui, organizzazioni e gruppi: dalla produzione di merci al turismo, dai flussi di investimento alle migrazioni, dai cambiamenti climatici ai fenomeni criminali, i confini nazionali non sono più in grado di contenere la vita sociale. E poi perché ci sono attori irriducibili alla sovranità dello stato, cioè alla dicotomia pubblico/privato. Tenuto conto della loro capacità di influenza e del peso delle loro decisioni ha senso, ad esempio, considerare le multinazionali come soggetti puramente privati? E lo stesso interrogativo non vale, a maggior ragione, per le grandi Chiese che raccolgono centinaia di milioni di fedeli?