La scarsa laicità dello Stato italiano può essere riscontrata anche considerando le festività.
I giorni festivi laici sono solo l’Anniversario della Liberazione (25 aprile), la Festa dei Lavoratori (1° maggio) e la Festa della Repubblica (2 giugno).
Le festività religiose (feste di precetto) sono tutte le domeniche, Santa Madre di Dio (1° gennaio), Epifania (6 gennaio), Pasqua, Assunzione di Maria Vergine (15 agosto), Tutti i Santi (1° novembre), Immacolata Concezione (8 dicembre), Natale (25 dicembre), a cui aggiungere il santo patrono, la pasquetta e il 26 dicembre.

Insomma, c’è una evidente sproporzione tra festività religiose e laiche, considerando inoltre che le feste religiose sono imposte sia agli atei, sia ai credenti di altre religioni.
È vero che la lotta semantica della chiesa cattolica per assegnare un significato religioso a ogni evento prosegue ma con risultati modesti: per esempio, il tentativo (dal 1° maggio 1955) di Pio XII di istituire la festa di San Giuseppe lavoratore non ha avuto un grande seguito.
Viceversa il 1° gennaio e il 15 agosto si sono desacralizzate e sono ricordate come capodanno e ferragosto. Anche le altre feste “di precetto” ormai precettano solo una minoranza dei fedeli e sono vissute “a bassa intensità” anche dalla maggioranza di chi si dichiara cattolico.
Ciò non toglie che continua l’accanimento della chiesa cattolica nel mantenere la sua presenza nella sfera pubblica, in spregio del principio di laicità (etsi deus non daretur).

Nel 1977 il 4 novembre è diventato festa mobile e spostato alla domenica successiva; stessa sorte è toccata al 2 giugno, però ripristinata nel 2001 per un residuo di decenza laica.
È come se – facendo una analogia tra lo Stato e l’individuo – fosse stata abolita la nostra festa di compleanno per un quarto di secolo, mentre si continuano a celebrare abbondantemente compleanni e altre astruse ricorrenze di personaggi fantastici e storicamente incerti.