Buonasera a tutti, e benvenuti a questo «Darwin» Day.
Il virgolettato, nel citare Darwin, è a ragion veduta, perché stasera si parlerà di teoria evoluzionistica della specie come con tutta probabilità non era mai stato fatto prima per la maggior parte di voi.
I nostri due ospiti difatti, studiosi e scienziati, si occupano di un fronte di ricerca innovativo, in ambito genetico: la genomica sociale.
Una disciplina che si occupa sostanzialmente del rapporto scienza-società, volta a chiarire i meccanismi attraverso i quali – e qui li cito – «il sociale entra nella pelle e si fa biologia».
A noi di ArciAtea è piaciuta molto, e per svariati motivi.
Innanzitutto, perché conduce un’analisi esemplarmente rigorosa, e a tratti impietosa, su cose che forse sapevamo già tutti – si accentuano le disuguaglianze, l’economia mondiale sta andando sempre più in direzione di una disparità sistemica polarizzata con pochi ricchi sempre più ricchi e moltissimi poveri sempre più poveri, le aspettative di vita non sono uguali per tutti e il SSN è oggi un meccanismo inceppato, è divenuto inefficiente da noi come nel resto del mondo – ma quest’analisi la fa con metodo scientifico, esprimendo perciò dati incontrovertibili; questo, noi che siamo aspiranti razionalisti, non possiamo che apprezzarlo.
Soffermiamoci un attimo sul perché del corsivo, prima di andare avanti: la razionalità è un percorso formativo di vita, un obiettivo, non una decisione arbitraria. Non sei razionale perché hai deciso di esserlo (come fanno molti personaggi della nostra vita pubblica, purtroppo, tra i politici e la loro corte d’ideologi in modo particolare, autoaccordandosi d’ufficio tale qualità).
Razionali, si diventa.
Intersezionalità dell’edificio sociale, dunque, come fattore evolutivo: ArciAtea, fin dalla sua nascita, afferma proprio questo, ovvero che i diritti non devono essere separati e non vanno «categorizzati», perché in quanto esseri al contempo biologici e sociali non siamo isolati, da nessun punto di vista, economico, politico, culturale.
Pertanto, ci conforta avere una conferma che questo principio ha solide basi scientifiche.
Felicità e infelicità sono «contagiose», e questo fa da sempre parte del linguaggio colloquiale di noi tutti, ma ora sappiamo che non lo sono come gli starnuti, o le risate, ma lo sono in senso letterale, scientifico: si possono trasmettere (linguaggio medico applicato al sociale).
Due esempi, a dimostrazione del fatto che noi di AA siamo pienamente in sintonia con le posizioni di cui si parlerà stasera:
— Le nostre iniziative per diffondere le Stanze del Silenzio negli ospedali, considerabile come un vero e proprio strumento interculturale per la «terapia di sostegno» della persona da un lato, ma basato dall’altro su una concezione di benessere che richiede anche l’espressione di una spiritualità, immanente e atea nel nostro caso.
— Le nostre collaborazioni con Rete l’ABUSO, che vanno in questa medesima direzione.
Francesco Zanardi, il presidente, ha sempre sottolineato quanto siano devastanti gli abusi sessuali, ancor più se commessi da figure di potere e prestigio come quelle appartenenti al clero, ma gli studi di Carlo Alberto Redi e Manuela Monti ci dicono che oltre che devastanti sono persistenti, e si trasmettono, non solo culturalmente ma anche biologicamente, alle generazioni successive.
Un altro motivo per noi di apprezzamento («peccando” forse un po’ di ovvietà) è la posizione riguardo le religioni, quella nostrana e cattolica in primis: i precetti religiosi sono, all’interno di questa lucida analisi, costrutti ideologici caratterizzati da una pretesa di verità eterna e immutabile, usati per avvalorare convinzioni personali e arbitrarie e ad altissimo fattore inquinante in molteplici ambiti decisionali – giuridico, politico, legislativo – e giocoforza inconciliabili con l’approccio degli scienziati che sono «addestrati all’umiltà» (come gli autori stessi, meritoriamente, precisano nel testo).
Gli scienziati sanno che il dato scientifico ha valenza implicitamente temporanea, è in divenire e sarà probabilmente smentito o aggiustato in futuro da nuove scoperte e indirizzi di ricerca.
L’eliminazione delle credenze religiose costituisce pertanto un fattore di miglioramento e di progresso sociale, anche nei criteri di scelta degli individui rispetto ai «coindividui» ovvero, gli altri.
Attraverso il lavoro dei nostri due ospiti di stasera scopriamo molte altre cose: che l’utilizzo, ad esempio, nel linguaggio politico-governativo del termine «razza» è improprio, nell’attribuirgli un valore classificatorio e storico – e quindi discriminatorio – perché le razze non esistono, come si evince dalla mappatura del genoma umano, e sarebbe più corretto parlare di fenotipi.
O che c’è un interessante parallelismo tra l’affermarsi dell’ospedale-azienda e la nascita del partito-azienda, databili entrambi con l’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, un meccanismo che sancisce la fine di un’epoca culturale (e l’inizio di quella che stiamo vivendo) e in, per certi versi, spaventosa concomitanza vede profilarsi una nuova figura sociale: il paziente – al pari del cittadino-votante – diventa utente, o cliente, con tutte le ben immaginabili implicazioni etiche ed economiche, in termini di disuguaglianze nell’accesso alle cure e ai servizi sanitari.
Ma questa nuova epoca, l’attuale, porterebbe con sé anche un lato positivo, conseguenza del fatto che col dirompente e progressivo coinvolgimento nel principio di sanità pubblica dell’elemento economico-imprenditoriale, la ricerca farmacologico-medico-scientifica diventa sempre più redditizia: l’evoluzione della stessa. Il cui scenario nella storia recente, in ambito clinico sottolinea il meccanismo ricorsivo di relazione tra sociale e biologico (il tema-chiave di questa serata), che si influenzano vicendevolmente e ciclicamente.
Gli avanzamenti nella ricerca e il progresso nelle biotecnologie stanno portando a promettenti risultati nelle applicazioni in campo, basate sulla farmacogenomica e sulla cosiddetta medicina di precisione, che ha un approccio alla malattia più predittivo che meramente curativo, e possiede di conseguenza un potenziale di efficacità esponenzialmente maggiore di quella tradizionale. Ma se ho usato il condizionale, parlando di lato positivo, c’è un perché: l’analisi di Redi e Monti evidenzia un aspetto preoccupante, nelle dinamiche di sviluppo di tali opportunità curative: che sono elitarie. Mentre dovrebbero farsi aperte e accessibili a tutti (o quantomeno essere portate avanti secondo un disegno che tendesse a tale obiettivo), per colmare le disparità di salute, e quindi di premesse per una vita migliore.
Non stiamo parlando del medico di base che ti prescrive gli antibiotici, o l’aspettativa per un esame o la fisioterapia: stiamo parlando della differenza tra l’avere una vita migliore e il non averla.
Per il singolo individuo e, in ultima istanza, per l’intera comunità umana sul pianeta.
A tale proposito, voglio citare il fatto che i due autori ipotizzano anche l’istituzione di un’interessante figura, quella dell’assistente di vita indipendente, basata sul concetto di solidarietà intergenerazionale.
Un’idea valida, un modello che meriterebbe di essere copiato, e riprodotto in altri ambiti sociali e comunitari.
La genomica sociale, dunque: spetterà a Redi e Monti spiegarci più esattamente cos’è.
Ci metteranno in confidenza, tra l’altro, con termini che ci erano probabilmente sconosciuti finora, come xenobionti e esposoma, o come la stessa, per certi versi oscura epigenetica.
Faranno luce sui «mediatori della transizione sociobiologica e i portatori d’informazione epigenetica capace di passare da una generazione all’altra».
Seguendo le tracce di questo percorso i(l filo di un ragionamento che parte da Darwin, ma arriva molto lontano,) e tocca tutte le discipline umane (dalla filosofia all’antropologia, dall’economia alla giurisprudenza) si giunge ad un approdo dalla terminologia inedita, tanto affascinante quanto inquietante, e si prende atto che le pratiche del nostro vivere, oggi non sono più dettate da scelte solo politiche, ma diventano biopolitiche.
Tutto questo ci porterà tutti, spero, ad una riflessione che ci sembra particolarmente coerente e condivisibile: il richiamo all’impellente necessità di possedere oggigiorno almeno una «minima» base di preparazione scientifica.
Conoscenza scientifica, per esercitare la cittadinanza scientifica., in seno ad una società che si fa sempre più scientifica.
Abbiamo tanto bisogno di laicità (lasciatemi concludere con questa parola, che sarebbe a noi sacra se non fosse conclamata la nostra allergia ed ogni forma di sacralità), cioè di cittadini capaci di autodeterminarsi senza ricorrere ad autorità esterne, che siano una divinità, un duce, un patriarca.
La democrazia non è solo l’esercizio periodico del voto, vivendo per il resto del tempo nella beata ignoranza all’insegna del laisser faire (come la politica oggi e i suoi attori sembrerebbero volerci inculcare), ma significa essere liberi e uguali nel potersi educare e nel decidere il proprio futuro.