L’ateismo come strumento di liberazione
(l’intervento di Giancarlo Straini è stato elaborato in un apposito gruppo di lavoro composto da attuali soci di ArciAtea)
L’ATEISMO COME STRUMENTO DI LIBERAZIONE
Nel circolo Uaar di Milano abbiamo discusso su come intervenire in questo convegno e abbiamo optato per un approccio pragmatico, abbozzando una sorta di profilo antropologico dell’ateo razionalista, per mostrare come l’utilizzo di un punto di vista ateo o religioso può concretamente influire sulla nostra vita.
ATEISMO RAZIONALISMO DEMOCRAZIA
Ateismo è un quasi-sinonimo di razionalismo? Lo è storicamente, perché l’ateismo ha fornito una solida base alla scienza e al progresso sociale. E viceversa, perché la scienza e l’Illuminismo hanno “sdoganato” l’ateismo moderno, concettualmente e praticamente, dalla rovente critica dei religiosi.
Lo scienziato – soprattutto se non si chiude nel settorialismo della propria disciplina ma cerca una coerente visione del mondo – è “quasi obbligato” a essere quanto meno agnostico.
Essendo razionalisti sappiamo (dalle scienze cognitive e non solo) che non tutto è razionalizzabile. Accanto a un pensiero razionale, scientifico, che usa proposizioni ben formate per descrivere e spiegare le cose, abbiamo un pensiero narrativo, normativo, su come le cose dovrebbero o potrebbero essere.
Tra doxa e epistème, tra opinione e conoscenza scientifica, i confini non sono sempre netti, ma – diversamente dal pensiero postmoderno che, assolutizzando il relativismo, mette tutto e tutti sullo stesso piano e finisce di fatto per giustificare l’esistente – l’ateismo razionalista assegna un senso alle nostre azioni, utilizza il criterio della preminenza della ragione scientifica critica.
Ma questa non è una preminenza elitaria, perché è necessario “tenere insieme le dimensioni dell’eguaglianza democratica e della competenza” (Fabrizio Rufo, Etica in laboratorio).
La scienza è democratica, non nel senso che dovremmo mettere ai voti la velocità della luce, ma nel senso che l’intera società ha il diritto/dovere di essere formata/informata e di orientare/controllare finalità e risultati della ricerca scientifica.
La democrazia non è solo una procedura (chi ha pensato che fosse anche esportabile ha combinato un sacco di guai, in Iraq e non solo); la democrazia è anche una pedagogia, circolare, critica e liberatoria, contrapposta alla pedagogia religiosa che insegna la subordinazione alle gerarchie.
La storia e l’esperienza ci insegnano che non tutti gli atei sono delle brave persone.
Dice Nietzsche (Frammenti postumi FP 35[9], maggio-luglio 1885), «Questi buoni europei, che noi siamo: che cosa ci distingue dagli uomini delle patrie? Primo, siamo atei e immoralisti, ma sosteniamo in via immediata le religioni e le morali dell’istinto e del gregge: con esse infatti si prepara una specie d’uomo che è destinata a cadere alla fine nelle nostre mani, che è destinata a desiderare di essere afferrata dalle nostre mani.»
Gli atei devoti non credono in dio ma utilizzano la religione come strumento di potere, per affermare un superuomo (Nietzsche), o una élite (Scalfari su la Repubblica insieme a tanti altri) che oggi esalta anche papa Bergoglio in funzione di stabilizzazione sociale.
I fascismi sono costituzionalmente contrari all’uguaglianza e non hanno fatto fatica a stipulare patti con il Vaticano, anch’esso in lotta su due fronti: contro l’individualismo liberale e il collettivismo socialista, entrambi figli dell’Illuminismo.
Ma anche alcune varianti autoritarie del liberalismo e del socialismo hanno prodotto più o meno tragiche religioni politiche (nazionalismo) e culti della personalità (stalinismo), adottando forme e finalità di controllo sociale simili a quelle delle religioni tradizionali (Emilio Gentile, Le religioni della politica).
Dunque chi si dichiara ateo non è necessariamente, automaticamente: razionalista, e democratico, e egualitario, e libertario. Però queste concezioni sono in rapporto tra loro, fanno storicamente parte di un grappolo; se non isomorfe, sono certamente contigue e per molti aspetti sovrapponibili.
Infatti l’ateismo moderno che noi vogliamo si iscrive nel progetto teorico e politico dell’Illuminismo, del progresso dell’umanità che autoregola la propria vita, grazie alla ragione e alla critica dei pregiudizi. Quindi è lotta contro l’oscurantismo, il dogmatismo, il fanatismo che giustificano le disuguaglianze e i privilegi fondati sulla nascita e sulla prepotenza, e legittimati dalle religioni, in quanto strumenti di controllo sociale.
La ragione è ricerca di provvisorie verità, indagine basata sull’esperienza, non possesso di idee fisse garantite da un dio e amministrate da una chiesa che ne rivendica il monopolio.
Il progetto illuminista è un cantiere sempre aperto, perché non esistono verità definitive; è contraddittorio perché l’umanità stessa è articolata e contraddittoria, si muove per prove ed errori; ma è basato sulla fiducia nell’autodeterminazione dell’umanità, quindi è pluralista, egualitario e produce valori costituzionali.
CONSEGUENZE PRATICHE
Io credo che sarebbe necessario approfondire il tema del pluralismo anche nell’UAAR, ovviamente confermando il suo carattere apartitico.
Gli atei italiani sono, anche storicamente, l’espressione soprattutto di due culture politiche: quella liberale-radicale e quella marxista-antiautoritaria; due culture diverse, che esprimono molte e diverse teorie politiche (liberismo e keynesismo, individualismo e strutturalismo, ecc. ecc.) ma che hanno in comune il cantiere aperto del progetto illuminista, contro la presenza delle religioni nella sfera pubblica (dove si dovrebbe applicare rigorosamente l’etsi deus non daretur), e contro l’intolleranza, cioè contro i fascismi e i totalitarismi, che usano e emulano le religioni per opprimere (Popper).
Quindi non va bene fare un “sindacato degli atei”, come se gli atei fossero una categoria omogenea, che li rappresenti tutti anche quando usano l’ateismo per opprimere, che si chiuda su argomenti “specialistici” e ristretti, dove “tutto quello che non è stato approvato è fuori tema”.
L’ateismo, in quanto scientifico, non dovrebbe vietare per principio un tema, né un interlocutore (tranne la dovuta pregiudiziale antifascista), ma confrontarsi con tutti e su tutto, tendendo a coinvolgere tutti, sostenendo le proprie idee (ma con il dovuto rispetto per quelle altrui).
In questo senso l’ateismo è pluralista, sperimentale, partecipativo; non confonde il rispetto e la curiosità con l’anomia e l’indifferenza. Semmai, essendo critico, l’ateismo favorisce anche l’ironia, l’anticonformismo, la capacità di badare più alla sostanza che alla forma.
Ci vuole molta cautela quando si trattano principi e valori per il forte rischio di trasformarli in dogmi. Per esempio, avere dei valori può favorire la critica del pensiero debole e postmoderno, ma non si deve arrivare a escludere chi in varia misura adotti tali schemi interpretativi, a meno che questi non li assolutizzino e diventino degli intolleranti (ci sono anche i settari postmoderni, nonostante l’apparente ossimoro).
È opportuno riflettere sulle tendenze politiche, economiche e culturali, non per stabilire una ortodossia, o per schierarsi con questo o quel partito, ma per favorire un dibattito ad ampio spettro sulle conseguenze pratiche.
Per esempio, se si ritiene che la secolarizzazione avanzi inesorabilmente in tutto il mondo, ne consegue un atteggiamento che, se non è necessariamente passivo (sedersi in riva al fiume…), è certamente meno militante del caso in cui si ritenga che sia in corso una “rivincita di dio” (Kepel).
L’opzione a favore della “militanza” – cioè di un atteggiamento attivo, non di un proselitismo settario – si rafforza ulteriormente se si è convinti che è necessaria una educazione alla democrazia (Dewey, Gramsci, Popper, Bruner), sulla base dell’evidenza che non basta essere formalmente liberi, ma serve anche una libertà sostanziale, che consenta l’effettivo esercizio dei diritti.
A maggior ragione se si evita una insensata contrapposizione tra diritti civili, politici e sociali, come se la storia (e la cronaca) non dimostrino che i diritti si affermano (e vengono repressi) insieme, come se si possa immaginare, per es., la parità delle donne nella famiglia senza la parità di retribuzione o il diritto all’educazione.
Chi non ha voglia di leggere libri di storia potrebbe almeno vedere Il racconto dell’ancella, una distopia su una possibile regressione della condizione delle donne che inizia proprio con una discriminazione sul lavoro.
Discutere di questi argomenti non può che fare bene a una associazione, non per stabilire una ortodossia, ma per aumentare lo spessore del dibattito, del suo patrimonio culturale.
Il pluralismo è un atteggiamento attivo, diversamente dalla semplice tolleranza, perché implica uno sforzo per far convivere in una comunità idee diverse. Confinarsi in ambiti tematici ristretti per paura delle divisioni non risolve il problema, anzi, oltre all’impoverimento del dibattito, si rischia che le eventuali divisioni emergano comunque, ma in forme oblique, massoniche, settarie, autoreferenziali, e senza strumenti di controllo e di bilanciamento efficaci.
Anche dal punto di vista organizzativo un ateo razionalista dovrebbe esaminare i risultati della scienza in materia, i modelli organizzativi, i rischi dell’autoreferenzialità (Michels) oggi molto diffusi, aggravati se accompagnati da un volontario confinamento in un “ghetto” multiculturalista, o in un orticello “umanista” con un suo introverso catechismo “laico”.
L’antidoto a questi rischi è una presenza aperta, attiva e diffusa, che valorizzi la partecipazione, gli iscritti, i circoli, le pratiche basate sull’inchiesta, l’ascolto, il rispetto, l’assertività inclusiva, la fiducia nella forza delle proprie ragioni, nella capacità dell’umanità di autodeterminarsi.
Insomma, per noi l’ateismo non è un argomento da salotto ma uno strumento di liberazione, non è sufficiente, ma è necessario.
Giancarlo Straini