Avevamo scritto il 26 aprile che “il governo resiste, per ora all’invasione della CEI”, ma dopo neanche due settimane la repubblica laica ha capitolato.
Conti e Lamorgese (anche a nome del Comitato tecnico-scientifico) hanno sottoscritto un protocollo dettato dal card. Gualtiero Bassetti sulla ripresa delle celebrazioni liturgiche con la partecipazione dei fedeli (“con il popolo”) dal 18 maggio.
È un testo che contiene raccomandazioni più che prescrizioni: “venga ricordato ai fedeli” che è meglio non partecipare se sintomatici o contaminati, e se sono troppi “si consideri l’ipotesi di incrementare il numero delle celebrazioni liturgiche”.
Spetta alle autorità politiche, ascoltata la comunità scientifica, decidere sulle misure necessarie per affrontare la pandemia, ma non si possono creare regimi differenziati. Se le “criticità” sono così facilmente superabili nelle chiese, perché non si consentono anche riunioni politiche e sindacali, spettacoli teatrali e musicali, visite ai musei, ecc. con le opportune precauzioni?
In realtà il protocollo è particolarmente grave perché non regola eventi assimilabili (messe, convegni, assemblee politiche e sindacali, ecc.) ma riconosce alla chiesa uno statuto speciale (in contrasto con la sentenza della Corte costituzionale n.45/1957), ripropone la religione di stato nella “costituzione materiale”, sulla falsariga dei Patti Lateranensi (e Lamorgese precisa che “Analogo impegno abbiamo assunto anche con le altre Confessioni religiose”, cioè con i culti riconosciuti).
Conte ringrazia la CEI “per il sostegno morale e materiale che sta dando all’intera collettività nazionale” (senza che la CEI ringrazi per i circa 7 miliardi annui che riceve dallo Stato italiano) e sottoscrive un protocollo che non parla di celebrazioni con i fedeli (cioè con una parte), ma “con il popolo” (cioè assegna implicitamente alle celebrazioni una funzione pubblica).