Brindiamo all’80esimo anniversario della liberazione, ma più che ricordare il passato dovremmo preoccuparci di riviverlo oggi, di rendere attuale la lotta per la liberazione.

Non si può descrivere in pochi minuti i significati della Resistenza, che è stata liberazione dall’occupante tedesco, guerra civile contro i fascisti e lotta per la giustizia sociale; ha coinvolto un ampio schieramento di forze politiche, dai monarchici ai comunisti; è stata sostenuta da lavoratori e da altri ceti sociali. La Costituzione repubblicana è il risultato, la sintesi della liberazione.

Per fare vivere oggi il 25 aprile del 1945 – evitando che diventi uno stanco rituale, un semplice ricordo del passato (sempre più sbiadito) – dobbiamo rilanciare, attualizzare, rivitalizzare la lotta per l’attuazione della nostra Costituzione repubblicana.

I primi dodici articoli del testo costituzionale indicano i principi fondamentali, tra cui il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; ma dovremmo soprattutto ricordare l’incipit, l’art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Molti hanno fatto la Resistenza, ma è indubbio che i lavoratori e le lavoratrici hanno svolto un ruolo centrale, con gli scioperi e con la lotta armata, pagandone tragicamente il prezzo con sacrifici, deportazioni, torture e morte, ma riuscendo a affermare la centralità del lavoro, nella pratica e nell’incipit della Costituzione.

Sappiamo che indicare un principio, un diritto, in Costituzione non lo rende immediatamente esigibile; serve comunque la lotta e la partecipazione per attuare la Costituzione.
Sono state necessarie le lotte sindacali degli anni ‘60 per arrivare allo Statuto dei lavoratori, alla legge 300 del 1970 che tutela la dignità e la rappresentanza del lavoro; sono state necessarie le lotte degli anni ‘70 per avere la riforma del sistema sanitario nazionale, con la legge 833 del 1978 che concretizza il diritto alla salute.

Sappiamo anche che la storia non è lineare. A partire da fine anni ‘70 è diventato egemone il pensiero neoliberista. Prima il paradigma (cioè il concetto che attraversava tutta la società) era l’equilibrio tra equità e efficienza. Poi (con il neoliberismo di Thatcher e Reagan) il paradigma è diventato che l’equità ostacolerebbe l’efficienza. Inoltre si è affermato il pensiero postmoderno che ha negato la centralità del lavoro e affermato la centralità del consumo.

Questa visione del mondo – tutta concentrata sul consumo immediato, individualistico, schiacciata su un eterno presente senza passato né futuro – è alla base della precarizzazione del lavoro, del suo “oscuramento”. È questa visione del mondo, questa ideologia neoliberista che ci ha portato la riduzione dei salari, dei diritti e delle speranze di miglioramento, una ideologia tuttora dominante che dobbiamo contrastare consapevoli di nuotare contro corrente, riaffermando la centralità del lavoro, come è scritto nella Costituzione (quindi ricordiamoci anche di andare a votare per i referendum l’8 e 9 giugno).

Il 25 aprile è una data importante, che ci ricorda la liberazione dal fascismo, la conquista dei diritti civili, politici e sociali, sanciti nella Costituzione repubblicana. Non è solo la liberazione dal fascismo, è anche la liberazione per la democrazia laica e pluralista basata sulla sovranità popolare, per quel progetto sociale elaborato dai padri e dalle madri costituenti.

Il governo vuole depotenziare il significato del 25 aprile e della Costituzione repubblicana, anche strumentalizzando il lutto per un papa che non amavano; non ripropone le forme del fascismo storico ma una versione attuale del neoliberismo autoritario (meno diritti e meno welfare pubblico).

Quindi il ricordo del 25 aprile 1945 è utile solo se lo attualizziamo, lottando oggi per attuare la Costituzione, per la democrazia e la laicità, per una società di liberi e uguali.